Il labile confine tra la condizione di vittima e carnefice. Nella Giornata della Memoria 2024 alla Cittadella degli Artisti di Molfetta è andato in scena “Vuoti di memoria” di Max Mazzotta: l’intervista.

Nelle ore dedicate alla Giornata della Memoria, è andato in scena alla Cittadella degli Artisti di Molfetta uno spettacolo che apre uno squarcio tra le catastrofi sociali, stermini, guerre, incompatibilità religiose, etniche, politiche, insomma tutti gli orrori che la natura umana ha esibito nel corso dei millenni: si tratta di Vuoti di memoria, la produzione Teatro Libero per la regia di Max Mazzotta. Lo abbiamo intervistato per farci raccontare come nasce questo spettacolo.

– Per la Giornata della Memoria 2024 il suo spettacolo ‘Vuoti di memoria’ è andato in scena alla Cittadella degli Artisti di Molfetta. È un racconto che si approccia direttamente alla tragedia della Shoah?

Ci sono riferimenti specifici alla tragedia della Shoah ma Vuoti di Memoria è uno spettacolo che va oltre perché racconta la condizione umana della vittima e del carnefice. Una condizione particolare perché ognuno di noi al tempo stesso può essere stato vittima in passato ed essere carnefice in futuro ma spesso ci si dimentica di essere stato nella condizione precedente, lo spettacolo denuncia appunto questo “vuoto di memoria”.

 Nello spettacolo c’è questa forte scissione tra ‘vittime’ e ‘carnefici’. Perché questa scelta?

Noi essere umani, da quando nasciamo, siamo influenzati da una condizione di dualismo, dal bene e dal male, dal bello e dal brutto; quindi riuscire a ricordare la condizione di vittima quando si è carnefici e viceversa è lo spunto di riflessione che vuole offrire allo spettatore questo spettacolo.

– In un’epoca in cui viviamo ancora guerra e morti – distanti geograficamente, ma comunque sentiti vicini grazie ai media – perché è importante ricordare la Shoah?

È un monito a non ripetere gli orrori del passato ed è importante farlo a teatro proprio perché il teatro attraverso l’uso della metafora come racconto diventa il mezzo più potente per arrivare al pubblico.

– “Io so e non so perché faccio il teatro, ma so che devo farlo, che devo e voglio farlo facendo entrare nel teatro tutto me stesso, uomo politico e no, civile e no, ideologo, poeta, musicista, attore, non attore, pagliaccio, amante, critico, me insomma” scriveva Giorgio Strehler, di cui lei è stato allievo. Si ritrova in questa idea di linguaggio teatrale che fonde diverse anime e lo ritrova anche negli spettacoli della sua compagnia, Libero Teatro?

Ovviamente sì, Strehler è stato il mio maestro e lo ritrovo sempre in teatro, in tutto ciò che faccio con la mia compagnia. Il suo insegnamento è che il teatro è totalizzante, comprende tutto, qualsiasi aspetto della vita. E anche per me è così.

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