Arriva mercoledì 13 marzo 2024 alle ore 20.30 sul palco dell’AncheCinema di Bari “La donna della bomba atomica“, lo spettacolo teatrale interpretato e scritto da Gabriella Greison, tratto dal suo romanzo omonimo, pubblicato con Mondadori.
La protagonista è Leona Woods, la scienziata più giovane del Progetto Manhattan, che in prima persona racconta il più grande evento scientifico della storia dell’umanità. Una storia inedita, che viene raccontata per la prima volta su un palco e nella letteratura, e di cui anche gli americani hanno rimosso l’esistenza. Rivive così il racconto di Los Alamos, di Oppenheimer e di Enrico Fermi, della costruzione della bomba atomica e delle successive analisi di coscienza, trasmigrate nelle parole nelle parole della fisica più giovane assunta a lavorare al più grande evento scientifico della storia dell’umanità.
“La donna della bomba atomica” è un viaggio interiore, un lungo flusso di coscienza, vissuto in prima persona quindi che ci permette di identificarci con la protagonista della storia, e ci consente di rivivere i momenti più elettrizzanti e i momenti più deliranti di questo mostruoso Progetto. Fino ad arrivare ai giorni nostri, e alle conseguenze di tutto quello che è stato deciso e ideato in quegli anni.
Abbiamo intervistato l’autrice ed attrice per comprendere meglio il suo approccio con questa storia sempre attuale, tornata agli altari della cronaca anche grazie ad Oppenheimer, il film campione di incassi di Christopher Nolan.
Io l’ho scoperta con il libro “L’incredibile cena dei fisici quantistici” e dopo non ho saltato alcuno dei suoi testi, trovandoli sempre interessanti e coinvolgenti. Cosa l’ha spinta a raccontare della storia della scienza, e, soprattutto, la storia della scienza meno intuitiva e appetibile per il grande pubblico?
Tutto per me è nato dalle ricerche su una fotografia. Una splendida foto in bianco e nero, scattata nel 1927, 29 personaggi in posa, 17 erano o sarebbero diventati premi Nobel. Una foto da cui sono ossessionata da una vita. Fin da piccola la vedevo in giro, e nessuno sapeva raccontarmela. Poi mi sono laureata in fisica, con la specializzazione sulla fisica quantistica, e questo foto era sempre negli uffici dei professori più illuminati. Ma non sapevano dirmi cosa pensavano questi uomini in posa, cosa avevano fatto un attimo prima dello scatto o dove avevano cenato subito dopo. Dopo la laurea sono andata a lavorare a Parigi, all’Ecole Polytechnique, il mio capo era Francois Amiranoff. All’ingresso dell’Ecole Polytechnique c’era questa fotografia in BN come gigantografia. La mia ossessione per questa foto stava andando alle stelle. E così mi sono messa a fare ricerche, sono andata a Bruxelles dove è stata scattata la foto, per anni mi sono documentata, e finalmente ho trovato la storia. Ho trovato le parole per raccontarla. E da questa foto ho fatto nascere il mio percorso professionale. Dopo anni di ricerche, dopo tante porte chiuse in faccia, dopo tanti no, finalmente ho trovato la mia strada. Creandomela, da zero, io stessa. Ci ho messo anni, ma ne è valsa la pena.
Il mio primo libro che la raccontava era “L’incredibile cena dei fisici quantistici” (2014), da cui ho fatto nascere il mio primo spettacolo teatrale “Monologo Quantistico” (sempre nel 2014). Questo spettacolo ha girato e gira tantissimo (in 10 anni ha superato 800 repliche), non solo nei nostri confini, ma anche fuori, da Vienna a Zurigo a San Francisco. Il libro ha avuto un boom di ristampe ed è stato a lungo un caso editoriale. Poi sono seguiti altri 11 libri e altri 10 monologhi teatrali.
Dunque, per “L’incredibile cena dei fisici quantistici” (il mio libro d’esordio), sono stata un anno a Bruxelles a fare ricerche nell’archivio Solvay, e poi ci ho messo 3 anni per scriverlo. Racconto della cena avvenuta dopo lo scatto di quella fotografia, un lavorone ricostruire tutto! Per “Hotel Copenaghen” sono stata un anno a Copenaghen, facendo avanti e indietro con l’italia, per fare ricerche. E racconto della grande Scuola di Copenaghen di Niels Bohr. Per “La leggendaria storia di Heisenberg e dei fisici di Farm Hall”, ho fatto ricerche e viaggi in Germania, e poi anche a Farm Hall stessa, vicino a Cambridge. Racconto di Werner Heisenberg, e del suo mondo. Per “Einstein forever” sono stata a Princeton, in America, e in Svizzera, a Zurigo e a Berna. Racconto di Albert Einstein, e della sua eredità. Da ognuno di questi libri ho creato uno spettacolo teatrale, sotto forma di monologo di un’ora e mezza. Per “Ucciderò il gatto di Schrodigner”, il protagonista è Erwin Schrodinger, e le ricerche le ho fatte tra Vienna, America e Tirolo. Per “Ogni cosa è collegata”, il protagonista è Wolfgang Pauli, e le ricerche le ho fatte tra Zurigo, America e Berlino.
I miei spettacoli teatrali sulla fisica quantistica sono nati da questi testi.
Insomma, ho trovato il mio modo per raccontare la fisica quantistica. Ho trovato una nuova narrativa da dare alla fisica. Racconto la fisica quantistica sotto forma di storie, dopo le ricerche sul posto, i viaggi, gli incontri con le persone chiave, e le ricerche negli archivi (questo è ‘il Metodo Greison’). Con la fotografia scattata nel 1927 con il più grande ritrovo di cervelli della storia che è il mio faro, e da cui ho fatto nascere tutto.
Noi stiamo vivendo la Seconda Rivoluzione Quantistica, e quello che stiamo vivendo è un altro grande sconvolgimento delle nostre vite. Così come quando la fisica quantistica è nata, che ha sconvolto le nostre vite portando i telefonini, i chip al silicio e quindi i computer, le tac, i lettori cd e dvd, alla stessa maniera vivremo qualcosa di grandioso, che non immaginiamo neanche.
Ho sempre apprezzato il suo modo di raccontare la scienza, tratteggiando l’umanità dei protagonisti anche attraverso le loro fragilità, come in “Ogni cosa è collegata”. Non solo: lei ha scritto anche di molte scienziate dimenticate, dimostrando che la storia della scienza non è appannaggio del solo genere maschile. A proposito di questo, nel film “Oppenheimer” sembra che le donne siano state relegate a ruoli marginali: Nolan ha perso un’occasione?
Il fatto veramente eclatante è che Oppenheimer non è diverso dalla maggior parte dei film, dei libri, dei racconti che sono basati su ricostruzioni storiche di fette di scienza (di fisica, in particolare). Perché la maggior parte dei film, dei libri, degli scienziati, dei fisici che raccontano la fisica quantistica, il nucleare, le bombe atomiche, e addirittura la Seconda Guerra Mondiale in generale, sono contro le donne, e sono fatti da uomini che raccontano esclusivamente le gesta di altri uomini.
Siamo abituati, siamo desensibilizzati, e quindi nessuno ha detto quello che sto dicendo io, perché per decenni abbiamo visto solo donne al cinema che esistono solo per dare agli importanti protagonisti maschili qualcosa con cui svagarsi. Dopo decenni di film realizzati cosí, ne arriva un altro cosí, quindi nessuno se ne accorge. Anzi, ottiene 13 candidature agli Oscar. Ma mentre Barbie ha oscurato e messo da parte personaggi maschili di gomma, Ken su tutti, un film anti-donne come Oppenheimer, ha messo da parte e cancellato completamente donne molto reali, in carne e ossa, che hanno vissuto vite intere e hanno dato un contributo significativo alla fisica e al nostro mondo.
Quel povero Ken messo da parte dal film su Barbie, non è Leona Woods, che a 23 anni ha giá ottenuto il dottorato in fisica ed è stata assunta a lavorare al progetto Manhattan, perchè ritenuta un asso nella rilevazione delle particelle nel vuoto con il trifluoruro di boro. Ken, a differenza di Leona, non era presente alla prima reazione nucleare a catena, e Ken non fece quello che fece Leona, ovvero passare anni interi della sua vita sulla costruzione della pila atomica, divisa tra Hanford, Chicago, l’Argonna Foresta e appunto Los Alamos.
Leona Woods non compare in Oppenheimer, ma il film, come tanti film anti-donne, riesce ad assumere una tale aria di autorità a farci supporre che la sua sorprendente mancanza di rappresentanza femminile sia dovuta al suo ammirevole impegno per l’accuratezza storica. A Leona Woods ho dedicato il mio nuovo libro, “La donna della bomba atomica”, Mondadori.
Perché ha scelto di raccontare proprio di Leona Woods ne “La donna della bomba atomica”?
Perché è una storia inedita, ho scoperto io questa storia, e come ne sono rimasta innamorata io, penso che ne rimarranno innamorati in tantissimi. Ho iniziato a pensare a Leona nel 2019, poco prima della pandemia. Leggendo tra le righe di un libro in inglese, in cui si parlava di Arthur Compton, uno dei fisici creatori della fisica quantistica, che sta in posa nella fotografia del 1927 che è la mia ossessione, quella a margine del V Congresso Solvay e che è diventata poi il mio cavallo di battaglia nel primo libro ‘L’incredibile cena dei fisici quantistici’ (2015, Salani). Siccome volevo occuparmi di lui, perché lo sto facendo per ogni personaggio in posa in quella foto, mi sono imbattuta in Leona Woods. In pratica, il nesso è stato che Arthur Compton leggeva la Bibbia a Leona, ogni sera dopo il lavoro al Progetto Manhattan.
Fantastico, ho detto! Leggo meglio di Leona e scopro che è fisica nucleare, come me, e che è stato un prodigio, come me, e che la sua battaglia più grande è stata quello per essere riconosciuta per quello che faceva nella sua professione, in un mondo totalmente maschile, come quello della fisica nucleare e quantistica. Quindi mi sono detta: perfetto, è lei il mio nuovo obiettivo. Poi è scoppiata la pandemia e non ho potuto viaggiare, perché per scrivere di lei e raccogliere informazioni avrei dovuto fare un viaggione nell’America più dura, quella del New Mexico, e allora ho rimandato.
Nel frattempo ho scritto di altri due fisici presenti in quella foto: sono usciti i libri ‘Ucciderò il gatto di Schroedigner’ (Mondadori) su Erwin Schroedinger, e ‘Ogni cosa è collegata’ (Mondadori) su Wolfgang Pauli. Contemporaneamente ho letto tutto su di lei, in qualsiasi lingua. E l’estate scorsa sono partita per l’America. Ed eccomi qui con un audiolibro su Audible, il libro e lo spettacolo teatrale che ho appena fatto debuttare nei teatri e che girerà il mondo (le date sono sul mio sito www.GreisonAnatomy.com).
Insegno in un liceo scientifico della provincia; molte mie alunne si nascondono dietro scuse per giustificare la poca familiarità con le materie scientifiche. Se potesse parlare loro cosa direbbe per aiutarle a costruire un futuro diverso?
Di essere se stesse. E di memorizzare il mio motto: non stare dove o con chi non ti fa fiorire.
Nel nostro Paese, solo il 16,5% delle giovani si laurea in facoltà scientifiche, contro il 37% dei maschi: su che cosa e come ci dobbiamo concentrare noi insegnanti per azzerare questo dislivello?
E’ necessario annientare i luoghi comuni e le frasi fatte che ancora inquinano la comunicazione intorno al mondo scientifico.
Cosa mi consiglia di dire ai miei ragazzi per portarli a vedere il suo spettacolo?
Che tutti si immedesimeranno nella storia di Leona.
A proposito di ragazze, mi chiedo sempre che bambina è stata Gabriella?
Ero una sognatrice, molto irrequieta.
Maurizia Limongelli