E’ noto che in molti affermino che Omero non sia mai esistito.
Mai esistito.
In altre parole, che il principe degli aedi, colui che valente cantore s’aggirava più soave tra tutti, e che più gaie rendeva le fanciulle sue contemporanee nella mitologica Grecia Antica in realtà sia un fake di proporzioni ‘epiche’.
Comunque, vero o falso che sia, alla fine ciò che conta è che ad Omero colleghiamo “Iliade” e “Odissea”, i due poemi più famosi mai scritti, dove ‘mai’ è da intendersi in senso letterale dato che queste sublimi opere non sono state riportate su carta, bensì sapientemente tramandate dagli aedi, appunto, i quali spesso se ne dividevano i capitoli, poiché pochi erano in grado di ricordare esattamente e riportare al pubblico l’intera storia.
A questi pochi non possiamo non aggiungere uno splendido Flavio Albanese, il quale con lo spettacolo “Il canto di Ulisse”, un’altra convincente produzione della Compagnia del Sole andata in scena al Teatro Abeliano di Bari, si è fatto testimone delle gesta, descrivendole in prima persona, dell’eroe greco così come rappresentate nell’Odissea.
Partiamo quindi dalla geniale idea del cavallo di legno che permise ai Greci di invadere Troia e vincere la guerra scatenata dal rapimento della bella Elena, al termine della quale Odisseo inizia il lungo viaggio che lo riporterà a casa, a Itaca, dopo ben 10 anni. L’incontro più iconico e ricordato sarà quello con il gigante Polifemo, che, rivelandosi non esattamente un genio, si farà gabbare da ‘Nessuno’.
E via via, attraverso le avventure note a tutti, dall’incontro con la maga Circe all’arrivo ai confini tra Terra e Ade, dalla tentazione delle Sirene con il loro seducente ed irresistibile canto, allo scontro con il mostro dalle sei teste Scilla nel gorgo di Cariddi, ai sette anni nell’isola di Ogigia in compagnia della ninfa Calipso, fino al sospirato ritorno a casa, accolto dal fedele cane Argo e dal figlio Telemaco, lasciato piccolissimo, e alla vittoria finale contro i Proci.
Attenzione però; tutto questo non è stato un semplice racconto, ma un entrare dritti nella storia, nei personaggi descritti, nella loro mente ma anche nei loro corpi. Albanese è un eccellente attore quando impegnato in testi “corali”, ma ci sia permesso di dire che è nelle prove solitarie che dà il meglio di sè, non potendosi non riconoscergli la capacità innata di affascinare lo spettatore, prenderlo, avvolgerlo e tenerlo lì, incollato a guardarlo ed ascoltarlo, usando e dosando il registro drammatico, all’improvviso mitigato dalla battuta leggera che stempera la tensione, governando la voce come pochi, giocando con i toni ora dolci e sinuosi, ora potenti e profondi, ora ironici e giocosi. La sua gestualità non è mai invadente o fine a se stessa e ciò che risulta maggiormente sorprendente in tutto ciò è che lo spettacolo non soffre neanche per un attimo di momenti di stallo, è un susseguirsi di emozioni e sensazioni naturalmente collegate, in cui non si ha, letteralmente, il tempo per distrarsi.
Per tutto questo, lo spettacolo, per la regia e il disegno luci di Marinella Anaclerio, video di Pino Pipoli ed inserti sonori del quartetto vocale delle Faraualla, che probabilmente lo accompagneranno dal vivo durante le future repliche, è perfettamente fruibile da parte di chiunque, indicato a qualsiasi fascia di età, a tutti coloro che ancora abbiano voglia di considerare la propria semenza, di non viver come bruti e di seguire virtute e canoscenza.
Gabriella Loconsole
Foto dalla pagina web della Compagnia
Grazie infinite per questo lusinghiero sguardo!