Vi prego di non applaudire spesso. Vorrei che il vostro applauso fosse un bacio appassionato, e non un saluto distratto.
Con queste parole Eugenio Finardi fa capitolare il mio cuore e apre Euphonia suite, un flusso ininterrotto di musica ed emozioni che gira per i teatri dalla fine del 2022 e che è giunto sul palco dell’Auditorium Regina Pacis di Molfetta, ospite della rassegna Kaleidos ‘24, firmata per la Fondazione Musicale Valente dal direttore artistico Maestro Pietro Laera.
Con lui due musicisti eccezionali, Mirko Signorile al pianoforte e Raffaele Casarano al sax, che con Finardi tracciano un percorso emozionale unico, e raccontano di un’intesa frutto di dieci anni di collaborazione, di una ricerca di un senso ulteriore e interiore, di una sinergia che vede voce e strumenti come parte di un potente unicum sonoro. È una medicina dell’anima questa Euphonia suite, 17 brani che si fondono uno nell’altro senza soluzione di continuità, legati da virtuosismi eleganti e nello stesso tempo essenziali. Non solo le canzoni più famose (Le ragazze di Osaka, Amore diverso, Patrizia, In Italia, La radio, Diesel, Vil Coyote) ma anche alcune meno note (Estrellita e Holy land), un inedito (Katia, racconto delicato del primo innamoramento) e due omaggi ad artisti affini per sensibilità (Oceano di silenzio di Battiato e Una notte in Italia di Fossati, che Finardi riesce a cucirsi addosso perfettamente senza tradirne lo spirito).
Euphonia suite non è un revival, non è un best of, non è un’operazione furba per titillare lo spirito nostalgico degli appassionati. È invece un lavoro sorprendente che ha come canovaccio 50 anni di carriera, svariati stili percorsi (dal blues al progressive, dal jazz al rock, fino all’omaggio alla musica del fado) e lo spirito irrequieto del cercatore, con una produzione (possano piacere o meno i suoi album, spesso tanto diversi fra loro) vissuta sempre con passione e professionalità. Una base solida da cui partire per liberare il sogno e la trascendenza, costruendo un concerto in cui si percepisce davvero la voglia di mettersi in gioco e quel piacere dell’improvvisazione che è frutto di una sapienza artistica, di fiducia reciproca, studio e talento, nonché condivisione di sensibilità e di un lungo percorso comune. Finardi ci racconta le canzoni che conosciamo, ma le riveste di una bellezza ulteriore, di un significato nuovo che vale la pena di cogliere e accogliere. Ogni brano, magicamente, conserva la sua essenza ma vibra e “fibrilla” in modo diverso, con una delicatezza quasi onirica e estremamente suggestiva. Ci si perde volentieri in queste nuove vesti tessute dalla sua voce assolutamente unica e inconfondibile e qui piena di una dolcezza ricca ed essenziale al tempo stesso. Una nuova consapevolezza, un nuovo equilibrio, il racconto di un esploratore irrequieto, di un cercatore che così rende omaggio alla musica.
Il pianoforte di Mirko Signorile è di una bellezza sobria ed elegante. Per il pubblico, il gioco è nel seguire il suo viaggio e riconoscere il momento in cui dall’improvvisazione si passa alle prime note del nuovo brano. Delicato e martellante, morbido e nervoso, saltellante e misurato, Signorile ci trascina in uno spazio di sogno, ci incuriosisce perché si infila in meandri dai quali riesce poi magicamente ad uscire. Insieme a lui i sax di Raffaele Casarano disegnano atmosfere intriganti, suadenti e sfacciatamente seducenti, con un suono profondo che sa essere ora morbido, ora graffiante, invasivo o sognante, malinconico o rarefatto.
Euphonia suite si vive tutta d’un fiato, si assapora per intero, dall’inizio alla fine, e alla fine ci si stupisce di come la diversità di stile, ritmo e senso dei brani proposti conviva perfettamente e armoniosamente, scorra in modo fluido e coerente regalandoci un’emozione nuova, che forse non ci aspettavamo. Un concerto che nelle intenzioni di Finardi è medicina per l’anima, che fa bene allo spirito, curativo e laicamente spirituale, dove la qualità si sposa con una palpabile leggerezza, dove si sente un nuovo equilibrio. Finardi non ha perso lo sguardo sornione che rende complici, il graffio della voce che rivela il fuoco sotto la brace, la forza compressa nella dolcezza delle ballate. Se la serata si chiude con una versione di “Extraterrestre” molto diversa dall’originale, insolitamente struggente e profonda, il suo sguardo e le sue ultime parole ci dicono che dopo 50 anni di carriera, un premio Tenco nel 2023, un asteroide che porta il suo nome (mai regalo fu più indovinato!), dopo tutto questo si può ancora ricominciare.
(Per la cronaca: l’invito a non applaudire per godere appieno della continuità della musica è stato solo parzialmente accolto, perchè in certi momenti e di fronte a certe emozioni era davvero difficile trattenersi.)
Imma Covino
Foto di Gaetano de Gennaro