Due vite che si incontrano e che danzano attraverso gli anni. Una malattia che azzera i codici della comunicazione e la confidenza dei corpi. “Old fools” di Tristan Bernays con Marianna di Pinto e Marco Grossi diretti da Silvio Peroni ha aperto la rassegna “Trame contemporanee 2024” alla Cittadella degli Artisti di Molfetta

Tom e Viv danzano una vita semplice, fatta di incontri, innamoramenti, traslochi, tradimenti, dolori e felicità. Sul palco la danza è reale e figurata, intreccio di corpi e di anime. La loro storia è quella di tanti, l’epilogo è quello di troppi: straziante, lacerante, dove non basta l’amore che accudisce, la prossimità che soccorre. Rimanere insieme come si era promesso, nella buona e nella cattiva sorte, in salute e in malattia, diventa impossibile, perchè Tom è altrove, perso, e la ricerca di canali attraverso i quali comunicare si rivela per Viv un’impresa disperata. L’abbraccio che l’aveva avvolta all’inizio della storia diventa morsa da cui fuggire. Una malattia “ordinaria” (mi si perdoni il termine), dopo l’iniziale smarrimento, può essere capace di generare nuove tenerezze e una presenza che custodisce. Ma Tom precipita nel buco nero dell’Alzheimer, dove regna la regressione e l’aggressività, dove le mani che stringono il braccio di Viv (quasi volesse aggrapparsi a lei) sprigionano una forza che è violenza. Alla fissità degli occhi dell’uomo, alla rigidità dei gesti così diversi rispetto al passato, si contrappone allora la danza in solitaria della sua compagna, che deve trovare un modo nuovo di muoversi, avvicinandosi per poi fuggire dal nuovo sconosciuto, da quel corpo percorso per tanti anni e ora estraneo, addirittura ostile. La coppia perderà la capacità di danzare, la musica si farà grido, stridore e poi terribile silenzio.

Dicevamo che “Old fools è una storia semplice, e proprio per questo empatica. Quello che la rende particolare è la scelta stilistica di Tristan Bernays (giovane drammaturgo inglese che ne firma il testo nel 2018) che usa il meccanismo dei salti temporali per raccontarla, andando avanti e indietro nel tempo, facendo talvolta dell’ultimo gesto di una scena il primo di quella successiva, attribuendogli però un valore e un contesto del tutto diversi.

Un testo intenso, il suo, efficace nella sua linearità, asciutto ma non scarno, capace di raccontare emozioni e sentimenti senza cadere nel banale o nel retorico. Su questa scrittura si inserisce e si sviluppa il lavoro di Silvio Peroni che riesce a raccontare queste asimmetrie temporali allo spettatore senza confonderlo, attento a conservare la misura senza rinunciare alla policromia dei sentimenti. Il palco vuoto è abitato in ogni angolo, e si riempie progressivamente con l’avanzare della storia. I suoni, da morbidi e armoniosi si fanno sempre più freddi e gutturali. Le luci calde diventano lampi (come nella scena iniziale che preannuncia la malattia) e infine buio assoluto, disperato, totale.

Infine i due attori, Marianna di Pinto e Marco Grossi, che sono peraltro i direttori artistici della rassegna Trame contemporanee 2024 (terza edizione), aperta proprio con questo spettacolo alla Cittadella degli Artisti di Molfetta.

Li ho trovati assolutamente credibili, misurati e contemporaneamente intensi, in perfetta armonia, complementari nei gesti e tuttavia ben distinti nei caratteri, magnetici. Ne parlo al plurale, perché qui la sinergia è elemento fondante e imprescindibile. Non sono permesse dissonanze o cali di tensione: la danza che inizia con le prime battute è un passo a due che necessita di profonda e continua connessione. Gli applausi calorosi e prolungati hanno dimostrato la loro capacità di emozionare e coinvolgere nel raccontare quel dramma che aleggiava nella primissima scena e che diventa grido disperato, un vero pugno nello stomaco. Applausi ma anche commozione per tanti che in qualche modo si sono ritrovati nella vita di Tom e Viv, toccati in modo più o meno diretto da quella malattia bastarda che spegne, stravolge, violenta non solo il malato ma tutti coloro che sono intorno. Old fools è una storia che resta dentro, disperante, dolorosa. È il racconto di una realtà che proprio non si riesce ad accettare, perché stravolge i codici della comunicazione, della confidenza dei corpi. Non si tratta di danzare in modo diverso, in una resilienza che permette comunque di vivere e condividere. Qui il buio avvolge, separa, spezza, rende sconosciuti e ostili e per chi resta c’è solo sgomento, impotenza e disperazione.

Imma Covino
Foto concessa dalla Compagnia

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