Rientrare nella propria città specie quando il lavoro ti porta ad essere lontana per molti mesi da casa, è sempre una grande emozione. In un caldo pomeriggio di prima estate, qualche tempo fa, ho percorso trepidante le stradine di Bari vecchia ed immancabile è stata la mia visita al Museo Nuova Era di Rosemarie Sansonetti, sempre attenta nel selezionare artisti che suscitano per motivi diversi, particolare interesse.
La Galleria in sé desta grande fascino, sia per la sua ubicazione a ridosso di Piazza Ferrarese che per la sua struttura antica in pietra, divisa su due livelli comunicanti tra loro, da una stretta scaletta che ricorda l’atto di scendere in una cripta.
La mostra dal titolo “Invenzioni e Visioni “ospitava le opere della toscana Federica Gonnelli con la curatela di Nicola Zito.
Le opere esposte non hanno un comune filo conduttore, poiché ciascuna espone un messaggio a sé, ma tutte hanno un forte potere catalizzante in quanto attirano l’osservatore, a volte anche con violenza, all’interno delle stesse, fino a farlo coprotagonista. In alcuni casi, ciò è dovuto anche perché le opere sono strutturate come fossero una scatola bassa in cui l’immagine stampata si trova sia sul fondo che su tessuto in organza che ne fa da coperchio, creando quindi movimento ed inclusione.
Dapprima, entrando nella sala diversi volti sono disposti sulle pareti atti ad accogliere discretamente il visitatore. Si tratta dello stesso ritratto su tela di organza e cartoncino, riprodotto più volte in modo ciclico e consequenziale, ma con colori diversi e sbiaditi come frutto del ricordo di un sogno pronto a dissolversi lentamente. Ogni volto è unico e non da meno protagonista rispetto all’altro sebbene lo ricordi nelle fattezze. Non ha un nome e neanche una delineazione precisa da permetterne la comprensione. Sembra tutto inafferrabile e forse questo è il suo fascino.
Al centro della sala un assemblaggio di due cilindri uno nell’altro anch’essi in organza stampata, che rappresentano una fitta vegetazione. La forma circolare e l’uso del tessuto quasi impalpabile, sono un invito ad “entrare” nell’opera che è impostata in modo tale da far sì che l’immaginazione superi ciò che è realmente visibile. La linea circolare chiusa poi, permette appunto di recingere, isolare ed isolarsi in una dimensione introspettiva, avvolgente e protettiva che libera, ma può essere anche il suo opposto se si considera il recinto un confine che imprigiona e reclude il libero arbitrio di ciascuno.
Ha poi stimolato la mia attenzione un ponte rappresentato su due opere distinte, come due mani che si cercano senza mai raggiungersi. Il mezzo per antonomasia di collegamento e congiunzione, qui è spezzato e la frazione viene avvertita brutalmente come il crollo di una costruzione che distrugge quello che avrebbe dovuto unire.
L’audio installazione “Babele Globale”, sembra rappresentare anch’essa un’incomunicabilità. La celebre torre su pianta esagonale è assemblata attraverso listelli di legno e l’immagine della stessa, stampata su organza. Una registrazione audio riproduce confusamente voci che si incrociano e non si incontrano come parlassero linguaggi diversi e non attendibili.
L’attenzione è posta sull’incapacità sempre più frequente, di stabilire un rapporto vivo e profondo di conoscenza con gli altri, contro l’arroganza dilagante dell’uomo che impone la propria insussistente superiorità attraverso un comportamento insolente ed irrispettoso verso i propri simili. Intendere infatti, non è parlare la stessa lingua, ma comprendere l’espressione e quindi il pensiero altrui. Conoscere altro da noi è spalancare le finestre della nostra mente, attraversare il limite corporeo e compenetrarsi senza per questo perdersi.
“Ogni persona che passa nella nostra vita è unica. Sempre lascia un po’ di sé e si porta via un po’ di noi. Ci sarà chi si è portato via molto, ma non ci sarà chi non avrà lasciato nulla. Questa è la più grande responsabilità della nostra vita e la prova evidente che due anime non si incontrano per caso.” (Jorge Luis Borges)
Cecilia Ranieri
Foto di Cecilia Ranieri