Film da (ri)scoprire: “La Zona d’interesse” di Jonathan Glazer. La proporzionalità diretta tra atrocità e banalità del male.

Probabilmente all’Arte non serviva il nuovo, ennesimo film sull’Olocausto. Forse non serviva neppure al pubblico, vista la nutrita library sul tema, per tutti i gusti, dai film per bambini ai premi Oscar autoriali, italiani e stranieri.

È qui che la frontiera dell’avanguardia prende nuove mosse. L’Arte deve sempre disturbare il comodo, come dice Cesar Cruz. Il comodo non è più quello di dieci, venti, trenta o più anni fa, e necessita di nuove forme espressive per poter essere scomodato, non attendendo che vada a ripescare un vecchio film sull’Olocausto da uno streaming scolastico di insegnanti che a loro volta stanno dimenticando, o di famiglie che hanno altro cui pensare.

Per questo “La Zona d’interesse”, col suo occhio, non solo serve, ma getta le basi per almeno altri dieci anni di memoria storica e espressione della Settima Arte.

Il sacro fuoco ha colpito il regista Jonathan Glazer, al quarto lungometraggio dopo decine di spot pubblicitari e videoclip, tra gli altri, di Radiohead e Massive Attack, tanto da strameritare una cascata di premi, tra cui l’Oscar al miglior film internazionale.

La storia vera è quella narrata nell’omonimo romanzo di Martin Amis del 2014. Rudolf e Hedwig Höβ, interpretata da Sandra Hüller, strepitosa esattamente come ho scritto di lei in “Anatomia di una caduta”, vivono con i loro cinque figli in una bellissima casa con tutti i comfort, orto, frutteto, piscina, grandi camere, numerosa servitù. Piccoli particolari ci addentrano gradualmente nella loro quotidianità: Rudolf è il capo del campo di concentramento di Auschwitz, la casa stessa si trova a ridosso delle mura del campo di concentramento, un’area denominata per l’appunto “Zona d’interesse”. Gli abiti più belli, i cosmetici, i preziosi tolti ai deportati vengono offerti alle famiglie delle SS che abitano nel campo, i bambini giocano all’ombra dei fumi dei forni crematori, nel silenzio della notte le urla, gli spari, i rumori del genocidio sono ben udibili dalle camere da letto. Per Sandra i suoi fiori bellissimi e i lindi abiti dei suoi figli sono il Paradiso, per sua madre, giunta per far visita alla famiglia, quel continuo strazio è impossibile da sopportare.

Il suono, o meglio, il tappeto sonoro di morte e distruzione, unico protagonista dei primi minuti del film e rumore di fondo per tutta la sua durata, premiato con l’Oscar e col BAFTA, è stato creato in anni di registrazioni urbane dal vero, per strada, nelle case, e non solo, un lavoro mostruoso quanto il risultato e l’effetto che crea.

Non è la sola idea geniale di Glazer. Il set del giardino della casa è stato dotato di dieci camere dirette da remoto, un assetto simil Grande Fratello che ha dato la possibilità al cast di muoversi con spontaneità all’interno della scena, aumentando l’effetto straniante del contrasto tra la naturalezza dei comportamenti della famiglia e l’orrore che si consumava al di là del filo spinato sopra le loro teste, un orrore che non si vede, ma che si capisce perfettamente.

Per questo “La Zona d’interesse” parla a noi, sedicente umanità del nostro tempo. La Zona d’interesse è nelle nostre case. Il filo spinato al confine della rotta balcanica dal Medio Oriente all’Europa, o attorno alla Striscia di Gaza, il Mar Mediterraneo, le strade che portano ai quartieri popolari delle nostre città, i portoni delle case più umili, ci separano da ciò che non vogliamo vedere.

In fondo al vaso di Pandora che Hedwig Höβ preferisce non scoperchiare, pur tuttavia, si nasconde una piccola fenice, anch’essa un episodio vero della storia dell’Olocausto. Alexandria, una giovane dodicenne polacca a servizio presso una delle case delle famiglie delle SS, di notte dissemina delle mele rubate in casa, nel campo di concentramento, sperando che vengano mangiate dai detenuti, rischiando la morte. La tecnica di fotografia che unisce il negativo alle luci delle fotoelettriche, parla di un mondo che, parafrasando John Lennon, fa il bene di nascosto mentre la violenza viene perpetrata alla luce del Sole.

Beatrice Zippo

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