Un viaggio racconto tra la vita del mare e quella dell’uomo: “Tra le mie onde”, lo spettacolo con Sergio Muniz per la regia di Michele Mirabella, affascina il pubblico barese

Ecco, ci siamo. Il sole è ormai al tramonto, le luci si accendono e lo spettacolo comincia. Sergio Muniz entra in scena, preceduto dalla meravigliosa musica del Trio Unisono, per la tappa barese, inserita nella seconda edizione della rassegna “Tra musica e parole” sotto la direzione artistica di Rocco Debernardis e la direzione tecnica di Filippo de Salvo, dello spettacolo teatrale e musicale “Tra le mie onde” con la regia di Michele Mirabella.

Un’atmosfera atipica, per uno spettacolo, con un palco essenziale montato nell’atrio della Chiesa del Redentore di Bari. Mi guardo intorno e vedo un piccolo chiosco allestito per offrire un fresco ristoro e un lungo colonnato perimetrale, disadorno, segnato solo da immagini sparse di Don Bosco, di chi ha operato con e per i bambini più poveri. Un luogo nato nel 1905 come orfanotrofio e affidato ai padri salesiani di Don Bosco, conoscitori della gioventù povera e abbandonata, trasformatosi, nel tempo, prima in un lazzaretto e poi in un ospedale per i feriti di guerra. Oggi luogo di istruzione e laboratorio culturale, oratorio per i giovani del quartiere, occasione di educazione allo sport. Ecco! ho capito: la Bellezza della musica, del teatro, della poesia può arrivare ovunque e contagiare chiunque: che meraviglia!

Al pianoforte Paolo Luiso, al contrabbasso Filippo de Salvo, alla batteria Saverio Petruzzellis: un trio eccezionale accompagna con la sua musica la poesia di Muniz. Mi colpisce subito un’immagine proiettata che prende il posto di quella del titolo dello spettacolo: una finestra spalancata sul mare, un mare che cambia il suo aspetto nel corso della rappresentazione: prima calmo, poi agitato, poi dominato dalle onde per poi trasformarsi in un mare “spazzatura”.

Una domanda ha aperto la scena letta su un sasso: “Quien es el mar?”, “Quien soy?” “Chi è il mare?”, “Chi sono io?”, si domanda Muniz. E così nel tentativo di trovare una risposta, due mondi, quello del mare e quello dell’uomo, si incrociano, si scontrano, si abbracciano e il mare diventa strumento di riflessione e di ricerca sul senso della nostra vita e della nostra identità. “Chi è il mare?”, “Chi sono io?”, “Cos’è la vita?”. Domande esistenziali, universali, atemporali a cui si tenta di dare una risposta attraverso riflessioni che il mare spinge ad elaborare; parole chiave si stagliano come tappe di un percorso segnato dalla musica, dalle citazioni poetiche e dai ricordi che, quasi per caso, Muniz legge su un sasso, su un libro o ritrova nella sua memoria: CERCARE, VIAGGIARE, CAMMINARE, VAGABONDARE per RITROVARE SE STESSI.

La passione per il surf e la vita vissuta a contatto con il mare, nel suo piccolo angolo di paradiso ritagliato nella zona delle cinque terre, spingono Muniz, insieme al suo pubblico, magistralmente coinvolto, a pensare che forse, come il mare, anche la nostra vita è un continuo movimento e cambiamento; che la vita è come un’onda per cui a volte ci si sente sulla cresta e a volte schiacciati sul fondo nella continua ricerca di noi stessi; che tutta la nostra vita è frenesia, luce, ombra, maschera, sogno ma che poi, alla fine, ogni differenza sociale e culturale si azzera, tutto si livella, proprio come fa il mare che tratta tutti allo stesso modo.

Il mare e le sue onde: nella vita bisogna godere delle onde che costano fatica, ma la fatica serve per imparare. Attraverso le onde non troveremo risposte ma una via da seguire, quella del mare; il suo infinito è metafora delle infinite possibilità che la vita ci offre. All’improvviso quel mare prepotentemente si umanizza e diventa voce (quella di Michele Mirabella), una voce prima amichevole, amorevole, poi assertiva e autorevole che scuote le coscienze richiamando l’uomo a vivere il mare, a godere delle sue onde e di ciò che generosamente ci offre ma che pretende “RISPETTO”: i riflettori si accendono sulle disastrose conseguenze ambientali delle nostre scellerate azioni e le immagini, la musica, le parole si intrecciano e ci fanno sentire così piccoli di fronte a quel mare infinito e sofferente e consapevoli dell’esserci trasformati in veri saccheggiatori dell’ambiente. E’ l’antica catarsi greca che si realizza?

Flora Guastamacchia
Foto di Flora Guastamacchia

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