Film da (ri)scoprire: “Povere Creature!” di Yorgos Lanthimos, la favola bella che oggi ci disincanta

La claustrofobia per Lanthimos è una categoria dello spirito: la clausura di un tale che decide di trasformarsi in aragosta, andando incontro a un sanguinoso destino, nel capolavoro “The Lobster”; la riedizione dell’Ifigenia in Aulide ne “Il sacrificio del Cervo sacro”, in cui le decisioni sbagliate attanagliano una famiglia intera; i capricci soffocanti della Regina Anna ne “La Favorita”, sottolineate da ottiche prospettiche puntute al limite del glaucoma; l’ossessione di essere inseguiti da sé stessi in “Nimic”. Soprattutto, in “Kynodontas”, un padre tiene chiusa la sua prole nella minaccia di un mondo esterno troppo pericoloso per loro.

Non tutti i figli sono uguali. Alcuni crescono, altri hanno semplicemente il cervello di un neonato impiantato nel corpo di un’adulta. È così per Bella Baxter, creatura frankensteiniana, tanto per adeguarmi alle centinaia di recensioni che tirano in ballo il povero monstrum Shelleyano, in realtà figlio di ben altra epoca e con finalità narrative ben diverse.

Bella è la protagonista del romanzo omonimo del film, scritto nel 1992 da Alasdair Gray. Bella è la creatura dello scienziato Godwin Baxter, e anche qui vanno citate le recensioni didascaliche che associano il nome del padre al Padre il cui volere vince sempre. Bella compie notevoli progressi nel linguaggio e nei movimenti, fino a quando uno studente di Godwin, Max MacCandles, non si invaghisce di Bella, fino a volerla sposare. Qui entra in gioco il playboy Duncan Webberburn.

Bella vuole esplorare il mondo, e seguirà Duncan nei suoi viaggi, ad alto tasso di avventura, erotica e non solo, tanto che anche Duncan faticherà a starle dietro. Il percorso di autodeterminazione avrà fasi grottesche, altre invece profondamente introspettive, con un ventaglio di implicazioni che vanno dal fisico, come i “furiosi sobbalzi” che sono la catarsi del sesso, fino alla scoperta del socialismo.

La claustrofobia è segnata dall’ottica fish-eye delle riprese della casa del padre, la visione machista che restringe una figlia, una compagna, un terreno di dominazione e conquista, all’interno di un solo occhio, come le ancelle del racconto di Atwood.

Sebbene a mio parere “Povere creature!” sia una riedizione di temi già visti in Lanthimos, con mezzi produttivi esponenzialmente più poderosi, il film è la celebrazione del gusto steampunk reso etereo dai costumi e dagli arredi pieni di volute eccessive fino all’intenzionalmente stucchevole. Supermeritati i riconoscimenti giunti a decine, per la scenografia, per costumi, trucco e parrucco, soprattutto per Emma Stone, veicolo di questo viaggio verso la libertà.

La liberazione della donna come soggetto politico, infatti, come centro di volontà e azione, è ovviamente il tema urlato a ogni fotogramma, a partire dalla scena diventata celebre, di una danza apparentemente scoordinata e goffa, che diventa invece una dichiarazione di intenti crudeli solamente per chi non riesce ad accettarli.

Il lieto fine, ammesso che la letizia sia una tesi universalmente dimostrabile al termine di una storia, è tutto da scrivere, ogni giorno, per ogni donna.

Beatrice Zippo

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