Film da (ri)scoprire: “Io Capitano” di Matteo Garrone. Non si può fermare il mare con le mani.

L’era Moderna ha segnato l’affermarsi delle potenze coloniali e imperialiste, che insieme alle materie prime hanno deportato generazioni di persone dall’Africa e dall’Asia, riducendole in schiavitù.

Questo meccanismo non ha conosciuto sosta fino alla Rivoluzione Industriale e alla meccanizzazione di parte del lavoro e al decresciuto bisogno di braccia mal pagate per ingrassare i bianchi. I moti di indipendenza, uniti agli accordi economici, ben più redditizi per i potenti rispetto a guerre e dominazioni, hanno trasformato le deportazioni in migrazioni e la schiavitù è stata chiamata “sostituzione etnica”, una teoria distopica.

È in questa distopia, che negli ultimi dieci anni ha causato quasi 30mila morti, se si considerano i soli decessi in mare, che si tiene la vicenda di “Io Capitano”.

Seydou e Moussa sono due adolescenti decidono di lasciare il Senegal, e affrontare il Sahara e il Mediterraneo, pur di arrivare in Italia. Davanti a loro, le torture, le privazioni, le violenze, prime tra tutte quelle subite nei lager libici, fino a quando, per poter attraversare il mare senza soldi, a Seydou, che non ha mai visto il mare, viene proposto di fare lo scafista. In tutto il registro filmico, la violenza si lascia vedere senza mostrare. Sì, perché l’epos di Matteo Garrone ha una cruenza sublimata, in cui il sogno ha ancora una prerogativa potente.

La scena simbolo è quella della donna soccorsa tra le dune del deserto, la quale può ovviare ai piedi nudi spellati dalla sabbia che scotta e dall’inedia semplicemente volando come un aquilone colorato, impossibile non associarla all’iconografia di Chagall e alla Donna Cannone di De Gregori, un’immagine in cui il sogno è più forte, anche quando la morte sembra un epilogo più facile cui arrendersi.

Non è la prima volta che l’Italia si presenta con una storia di terrore raccontata con una poetica struggente, eppur senza retorica: ci era riuscito anche Roberto Benigni, con “La Vita è bella”, e la sua pioggia di premi, tra cui tre Oscar. Anche Matteo Garrone ha ottenuto la nomination come miglior film internazionale agli Oscar, vedendosela con “La zona d’Interesse” e “Perfect Days” tra gli altri. L’accezione internazionale del film è ancora più significativa, se si considera che esso è stato girato, e non doppiato, praticamente tutto in lingua wolof. Più numerosi sono stati i premi italiani ed europei.

La distopia è anche nei nostri occhi, che si rifiutano di vedere ciò che è evidente. Da un lato, come scrivevo, le violenze, seppur evidenti, restano ovattate rispetto alla realtà. Ricordo ancora un incontro pubblico con il Dott. Pietro Bartolo, il medico di Lampedusa, adesso europarlamentare, che parlava di ferite da canotto, mostrandoci foto che nessun film che voglia vedere la luce potrà mai inscenare. Dall’altro, le recenti fasi finali dei campionati Europei di Calcio ci hanno mostrato squadre in cui gli Europei di oggi portano addosso tutti i tratti di quel mare che qualcuno vorrebbe fermare con le mani: Nico Williams, uno tra tutti, figlio di immigrati del Ghana, attuale ala della nazionale spagnola campione d’Europa.

Che faccia ha, dunque l’Europa? Con che faccia si presenta agli occhi della storia? Quale epilogo studieranno le generazioni future?

Beatrice Zippo

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