Giovanni Sollima, Alexander Sladkovsky e l’Orchestra della Fondazione del Teatro Petruzzelli di Bari incantano il pubblico della Stagione concertistica 2024

Una serata meravigliosa è stata quella che ha vissuto il numerosissimo pubblico del Teatro Petruzzelli – e che, ancora a distanza di giorni, stimola i nostri sensi – alla vigilia della chiusura di Stagione che ha registrato il meritato sold out grazie alla presenza di artisti del calibro di Giovanni Sollima, al violoncello, e del Maestro russo Alexander Sladkovsky alla direzione delle nostra preziosa Orchestra, all’interno della rassegna concertistica organizzata dalla omonima Fondazione.

Per la prestigiosa occasione, il concerto è stato trasmesso in differita su Rai Radio 3, così permettendo ad una platea molto più vasta di godere delle prodezze di due artisti noti nel panorama musicale internazionale, la cui fama viene preceduta dalle virtù ormai collaudate e ben note ai seguaci del genere, come nel caso di Sollima, compositore, direttore d’orchestra e violoncellista assai creativo ed eclettico che ama esplorare, e noi con lui, nuovi orizzonti musicali sperimentando concerti nel deserto, sott’acqua, ed usando violoncelli sui generis come quello fatto realizzare interamente in ghiaccio da un artista americano e approdato in Sicilia – al Teatro Politeama di Palermo – per la sua prima (ed ultima) esecuzione mondiale di una partitura ad hoc per “Ice-cello” ed orchestra d’archi (per ricordarne uno).

Dalle prime battute del “concerto per violoncello in si minore, op.104, b.191” composto tra il 1984 ed il 1985 da Antonin Dvorak e strutturato in tre movimenti, entriamo in una sorta di stato ipnotico nel quale le evoluzioni dell’archetto del Maestro Sollima, amplificate da quelle dell’inaspettato simpatico direttore, ci hanno fatto ascendere a celestiache dimensioni  in cui a tratti, a dirla tutta,  i nostri occhi si sono colmati di inaspettata ma naturale commozione. Da molti considerata, non a torto, la più bella pagina tra i concerti per violoncello ed orchestra, l’opera si apre con un moto d’impeto che poi lascia spazio ad una melodia che consente a Sollima di esprimersi in virtuosismi che si intrecciano con quelli dell’orchestra che danza musicalmente con assoluta precisione, e che ci porta in variazioni ora struggenti ora quasi aggressive capaci di farci esplorare l’amore proibito che pare abbia ispirato la composizione del quale se ne rappresentano appieno tutte le sfumature.

Impossibile non essere rapiti dalla danza che, seppur seduto, Sollima ingaggia con il suo violoncello, e dalle sue espressioni, uniche, significative, cariche in enfasi e che amiamo incondizionatamente perché grazie ad esse diventiamo parti del dialogo immaginario che il compositore boemo Sladkowsky crea soprattutto tra le corde ed i fiati per far e farci rivivere quello segreto intercorso con la sua amata.

Il terzo movimento “Finale” si annuncia come una marcia che ad ogni cadenza diventa sempre più potente ma che via via si alleggerisce a favore di una melodia intonata dal violoncello (quello in uso al Maestro è di terra cremonese e foggiato da Francesco Ruggieri nel 1679) che sfodera tutto il suo struggente sentimento a rappresentare la prematura dipartita dell’amata. La serata ha avuto un ché di magico nel suo insieme, via via si è svolta sotto una luce ed acustica perfetta come perfetta è stata la triangolazione sul palco che, passando attraverso numerosi sguardi di eloquente e felice approvazione reciproca tra le tre parti attrici, ha lasciato il pubblico in evidente visibilio esploso in un applauso interminabile dal quale non potevano che elevarsi ringraziamenti a furor di popolo da ogni angolo del teatro. E così tra le numerose richieste di bis e le evidenti parole di approvazione urlate all’intera compagine orchestrale, abbiamo potuto godere di un altro po’ della emotiva presenza del Maestro Sollima che si è concretizzata, dapprima, con un particolarissimo “Canto popolare Albanese/Arbereshe di Sicilia, intitolato “Moj E Bukura More”, e di poi con l’intramontabile “Preludio dalla Suite n.1” di Johann Sebastian Bach.

Già orfani di una preziosissima presenza capace di potenziare le capacità strumentali dell’intera orchestra, il Direttore Sladkovsky, alla riapertura del secondo tempo, riesce, senza sforzo alcuno, a ricatturare la nostra attenzione con il primo movimento della “Sinfonia n.1, in mi minore, op.27” del temuto Sergej Rachmaninov; con il suo savoir faire e con una direzione che non lascia dietro nessuno,  ha occhi e incipit (anche fisici) per e su tutti così facendo venir fuori dall’orchestra un valore aggiunto di notevole spessore.

Mentre iniziamo a volteggiare lentamente al ritmo dell’elegiaca introduzione del primo “largo” movimento sotto le sinuose pulsazioni ritmiche della bacchetta del Maestro, non riusciamo a credere che la Sinfonia n.2 sia stata concepita da un uomo, un compositore, che in diversi periodi della sua vita sia stato colto da cosi profonde e lunghe crisi creative da non riuscire a comporre per lunghi anni. Ma il successo che investì questa sinfonia nel 1908, sotto la sua direzione, fu talmente vasto che riuscì, fortunatamente, a rimarginare in lui la ferita provocata dall’inspiegabile fiasco che ebbe, viceversa la sua Prima Sinfonia. Un riscatto, dunque, nato da una sofferenza senza eguali per un creativo, che però tra le mani di Rachmaninov si è tradotta musicalmente in una risorsa che ci restituisce un lavoro talmente intenso da generare in noi un senso di gratitudine anche verso la vita.

Ad onor del vero, merita una menzione speciale ciascuna sezione della “nostra” orchestra del Petruzzelli, nelle cui fila si animano professioniste e professionisti di assoluto rilievo, da alcuni dei quali viene vieppiù fuori prepotentemente un’innata simpatia; quest’anno in particolar modo, complice l’alternarsi sul palco di direttori strepitosi  quali  Wayne Marshall, Diego Matheuz e lo stesso Sladkovsky  nonché del Direttore Stabile Stefano Montanari, a parere della scrivente, che nella vita si occupa di tutt’altra materia ma che ama alimentarsi di emozioni musicali, sta vivendo uno stato di grazia che ci ha consentito di “vibrare ” sotto l’effetto di una molteplicità di emozioni che hanno veramente reso difficile il nostro essere compìti ed educati tra le fila del pubblico ad applaudire piuttosto che correre ad abbracciare ciascuno dei suoi preziosi componenti in segno di sincera gratitudine.

E mi si consenta, con l’occasione, di rivolgere un accorato (disperato in effetti) invito a tutti coloro che, con modalità del tutto irrispettose, prima ancora che si accendano le luci in sala, o che prenda inizio un acclamato bis, si alzano per avviarsi verso l’uscita recando notevole disturbo non solo a chi ancora si sta ancora ricomponendo emotivamente dallo spettacolo,  imponendogli, a sua volta, di alzarsi, ma anche nei confronti di chi fino ad allora si è prodigato con passione e abnegazione affinché la musica giunga a noi anche per renderci persone migliori, meritando tutto il nostro plauso e stima.

Gemma Viti
Foto di Clarissa Lapolla photography

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