“La felicità non esiste. Di conseguenza, non ci resta che provare ad essere felici senza.” (Jerry Lewis)
“La vita è un’ampia tela per dipingere e bisogna metterci tutta la pittura che si può.” (Danny Kaye)
Qualcuno tra i più attempati dei nostri lettori ricorderà – e forse ne avrà condiviso la nostra stessa passione – la straordinaria miscellanea che si creava quando la autorevolezza e la maestosità di un’orchestra composta da decine di elementi di prim’ordine si metteva al servizio dell’estro comico di artisti senza pari; tra questi, i più vivi nei ricordi adolescenziali erano e restano i mitici Danny Kaye e Jerry Lewis, due mostri di bravura, due geni assoluti che, in tempi e situazioni differenti (Kaye più vicino alla Classica, Lewis più votato al Jazz), si sono misurati con un repertorio appannaggio solo dei Grandi.
Ça va sans dire che, per mere questioni anagrafiche nonché di distanze geografiche, non sono tra i fortunati che hanno potuto beneficiare dal vivo dell’immensa arte dei due Baroni della risata; eppure un artista che riesce a fare queste ed altre magie mi è capitato di incontrarlo sul mio cammino di spettatore qualche sera fa in quel dell’Arena della Pace di Bari in una serata organizzata dalle belle menti dell’AncheCinema S.r.l. Sì, perché Raffaello Tullo appartiene senza dubbio a questa genia di grandi comici, a quella minuscola sezione di esseri umani che, parafrasando lo stesso Kaye, “sono diventati intrattenitori non perché lo volessero, ma perché erano destinati ad esserlo”.
Sia che condivida il palco con gli altri quattro ‘pazzi’ della mitica Rimbamband per uno dei loro ormai leggendari spettacoli (uno dei quali è in programmazione sulle reti e piattaforme Rai) o che lo affronti da solo (seppur con l’incontrastata grazia di sua moglie Martina Salvatore dietro le quinte) per quel preziosissimo caleidoscopico gioiello di risate ed emozioni che è “Contrattempi moderni”, ogni incontro con il comico barese, soprattutto in tempi oscuri come quelli che ci è dato in sorte di vivere, è paragonabile al primo raggio di sole dopo una settimana, un mese, un anno di ininterrotta pioggia; il cuore si rilassa, il sangue pulsa ad un più consono ritmo, la mente si riappropria di inaspettata lucidità, si riesce persino a sentirsi – per un attimo – pregni della fanciullesca gioia che credevamo definitivamente persa in questa nostra affannosa vita.
Anche questo “SConcerto”, il suo più recente spettacolo in cui è affiancato dalla talentuosa quanto giovane Orchestra Filarmonica Pugliese diretta dal Maestro Giovanni Rinaldi, è un vero miracolo, una macchina perfetta con alla guida un pilota nato per gareggiare in Formula 1. L’esile (se non inesistente) trama serve solo a creare situazioni geniali quanto esilaranti di incontro/scontro tra l’orchestra ed il comico; più la prima cercherà di impegnarsi nell’esecuzione di grandi classici dei maggiori compositori di tutti i tempi, da Brahms a Strauss passando per Vivaldi, più Tullo proporrà nuove giullaresche soluzioni, come quando arriverà a confrontarsi e misurarsi con il mito di Lewis di cui modernizza la celeberrima “Typewriter” trasformandola in “Whatsappwriter” e sostituendo l’ormai obsoleta macchina da scrivere con un moderno smartphone, cercando di mistificare, contagiare, giocare, traviare musica e musicisti nei modi più svariati, che non sveleremo neanche sotto tortura per non defraudare i futuri fortunati spettatori dell’essenziale elemento sorpresa.
Quel che comunque non si può ancora una volta non sottolineare è la capacità del performer barese di costruire spettacoli che, tra l’ilarità clownesca e la leggerezza calviniana, facciano riflettere; in questa occasione, ad esempio, oltre a rimarcare- peraltro raccontando cose sue anche intime – la capacità della musica di esternare ogni sentimento umano, concezione alla base di ogni riuscita colonna sonora cinematografica, ci pare formuli, tra l’altro, una poco velata critica all’abuso della peggiore tecnica nella ‘musica’ dei nostri giorni, giungendo sino a ‘trappare’, con tanto di autotune annesso, il “Va pensiero” verdiano per dimostrare la sua teoria (che – sia detto per inciso – sposiamo appieno).
Alla fine, anche all’occhio meno allenato appare chiaro che questo ‘one man show allargato’, pur avendo certamente alle sue spalle un visibile mastodontico quanto impegnativo lavoro di ideazione e rifinitura, sia stato costruito come un enorme canovaccio su cui possano esaltarsi la verve e la classe di tutti gli Artisti impegnati, soprattutto del nostro eroe che, nei panni del(l’im)perfetto direttore d’orchestra, cattura e diverte un pubblico che, stimolato, pungolato, incitato ed eccitato dalla impetuosa affabulazione del giovane Maestro di Cerimonie, si fa via via più divertito ed osannante, sino alla meritata ovazione finale nel bel mezzo di un trenino tra gli spalti dell’Arena che richiama alla memoria – come del resto l’abbigliamento e taluni gesti del protagonista – i finali da avanspettacolo del riconosciuto Principe della risata, il divino Antonio ‘Totò’ De Curtis, un altro che con le orchestre ci ‘giocava’ spesso; e se, come affermava proprio Jerry Lewis, ridere almeno una volta al giorno allunga la vita di dieci anni, allora occorre essere grati a Tullo per averci reso, perlomeno, centenari. Grazie Raffaello.
(P.S.: Speriamo solo che non abbia ragione Woody Allen quando afferma che, nei giorni che vivremo in più, pioverà sempre a dirotto.)
Pasquale Attolico
Foto di Mara Salcuni
dalla pagina Facebook di AncheCinema