In una Matera assolata – e a tratti desolata – dell’estate 2024, passeggiando per il centro della città si incontrano sparuti gruppuscoli di turisti che, al riparo dell’ombra proiettata da una chiesa o da un palazzotto, ascoltano una guida. Sono spesso italiani che arrivano in questa piccola e calcarenitica cittadina del Sud per scoprire che cosa sono questi Sassi che non sono pietre e se in queste grotte scavate nelle viscere della terra vivevano persone, bestie o altri esseri viventi. Siamo lontanissimi dalla Matera invisa al Pascoli e ancor più lontani da quella descritta in un frammento del Cristo di Levi che tanto ha influenzato la storia e la fama di questa ruvida città di sabbia compatta distesa sotto il sole di Mezzogiorno.
Matera oggi è mèta turistica, è tessuto produttivo che raccoglie alcune realtà imprenditoriali di livello internazionale, è stata Capitale Europea della Cultura, sta riallestendo il suo teatro Duni (il più importante teatro della Basilicata per capienza) e sta costruendo un “parco intergenerazionale” di flora autoctona e piante originali di flora alloctona. Eppure resta forte in città l’eco di una organizzazione sociale antica, il vicinato: espressione di un’architettura spontanea, che nasce spinta da esigenze di carattere prevalentemente sociale, il vicinato ha influenzato la visione di architetti, sociologi e antropologi che a partire dal secondo dopoguerra hanno immaginato e creato nuovi spazi abitativi e di connessione sociale e influenza ancora oggi i rapporti sociali dei materani (di nascita e di adozione) estendendosi anche a quella che è l’industria artigiana più diffusa in città, il turismo: a Matera l’accoglienza riporta in sé quel senso di relazione che ha costruito le abitazioni dei rioni antichi.
E al vicinato si ispira l’esposizione della sezione etnografica dei Musei nazionali di Matera inaugurata mercoledì 24 luglio con il titolo “A cì appartjn? VICINATI. Etnografie di oggetti” allestita all’interno della Chiesa del Cristo Flagellato nell’Ex Ospedale San Rocco. Il vicinato qui è inteso come spazio evocativo all’interno del quale coesistono persone e oggetti, la cui funzione pratica e utilitaria si combina con quella estetica, artistica e identitaria, in uno spazio narrativo dove trovano posto tutte le forme dell’arte popolare lucana. VICINATI unisce le collezioni che costituiscono, ad oggi, l’intera collezione etnografica del Museo Nazionale di Matera, composta da un totale di circa 600 oggetti, risalenti alla fine del XVII secolo fino alla metà del XX, che raccontano la vita e la cultura agropastorale lucana e che, dopo un lungo lavoro di restauro, tornano, oggi, a essere restituiti alla comunità.
Un primo nucleo della collezione è rappresentato dagli oggetti in legno intagliato, raccolti da Domenico Ridola medico, parlamentare, archeologo, durante le sue ricerche paleontologiche nelle campagne del Materano, agli inizi del XX secolo, e confluiti nel Museo Archeologico di Matera, intitolato allo stesso Ridola e istituito nel 1911. Altri intagli lignei furono acquisiti, nei primi anni Sessanta, dall’allora Direttrice del Museo, Eleonora Bracco, grazie alla quale il museo cominciò a svolgere il ruolo di istituzione pubblica dedita alla ricerca, alla tutela e alla valorizzazione del patrimonio.
Durante gli anni della sua permanenza a Matera la studiosa si avvalse, per lo studio e la raccolta di tali oggetti, della collaborazione di Nicola Strammiello, Rocco Mazzarone e Ugo Annona, con il quale pubblicò, nel 1961, il volume Arte di pastori, dedicato all’arte pastorale lucana. Altri oggetti, soprattutto di tipo cerimoniale, come gioielli, amuleti, ex voto, terrecotte e tessuti, rimandano, invece, all’attività di ricerca condotta, in Basilicata, tra il 1966 e il 1967, dall’antropologa Annabella Rossi, dipendente del Museo Nazionale delle Arti e delle Tradizioni Popolari di Roma, oggi Museo delle Civiltà, che collaborò con l’allora Sovrintendente Dinu Adamesteanu, e che si completa di una serie di oggetti collegati al lavoro agricolo e pastorale. La raccolta è stata, in un periodo successivo, ampliata con nuove acquisizioni fino a contare oggi più di 400 oggetti.
Un altro consistente quantitativo di oggetti fu raccolto, tra la fine degli anni Sessanta e l’inizio degli anni Settanta del ‘900, dal Circolo culturale La Scaletta di Matera e acquisita negli anni ‘70 dall’allora Soprintendenza per i Beni Artistici e Storici della Basilicata. Si tratta di oggetti che risalgono anche alla fine del XIX secolo, tra i quali elementi di arredo, oggetti per la filatura, marchi da pane e utensili di uso domestico e agricolo con l’intento di raccogliere gli oggetti che rappresentassero la vita quotidiana degli antichi rioni Sassi, prima che le vecchie abitazioni fossero abbandonate, per conservarne la memoria.
La costruzione dell’allestimento, la ricerca e la scelta degli oggetti che sarebbero dovuti confluire nell’esposizione, ha richiesto un lavoro di equipe durato più di un anno: sotto l’indirizzo della direttrice dei Musei Nazionali di Matera, arch. Annamaria Mauro, con il coordinamento scientifico del prof. Felice Mirizzi, professore ordinario di Discipline demoetnoantropologiche presso l’Università degli Studi della Basilicata, Ciriaca Coretti, demoetnoantropologa, ha collezionato oggetti e testimonianze per restituire, alle comunità che visiteranno la sezione, queste importanti testimonianze storiche, espressione di arte pastorale, devozione e ritualità, di eventi cerimoniali e festivi dove è soprattutto la figura della donna ad essere perno dell’economia sociale delle comunità. Questi utensili, gioielli, ex-voto, ci restituiscono l’immagine di una civiltà contadina alla ricerca del bello nella vita ordinaria; gli oggetti esposti, ognuno con la propria storia, creano un dialogo tra passato e presente, invitando il pubblico a riflettere sul valore del patrimonio etnografico e a lasciarsi suggestionare dalle storie e dalle tradizioni che questi oggetti raccontano.
Simona Irene Simone
Foto gentilmente concesse
dai Musei Nazionali di Matera