Tornano a fiorire i ciliegi d’estate a Turi per “Madama Butterfly – La vera sposa americana” con Giuliana De Sio per l’evento della XIV edizione del “Festival del Belcanto”

Talora ci sentiamo innovativi, quasi rivoluzionari, nel criticare una società che cambia o nel voler difendere a tutti i costi lo status quo, dando e togliendo la voce alle persone in base a come tira il vento.

Eppure, non è così. Il mondo continua a girare perché le cose cambiano, ne è prova il fatto che con tutta probabilità non siamo la specie più intelligente del pianeta, ma siamo stati in grado di costruire dispositivi che ci aiutassero a adattarci all’ambiente, fino a condizionarlo, al punto di involverci e autodistruggerci.

Questa cosa Puccini la sapeva bene. Come ogni vero creativo, col sospetto che la propria arte gli sopravvivesse, Puccini ha scritto un’opera, la “Madama Butterfly”, che, come tanto altro nelle sue creature, ha denunciato, neppure troppo sottilmente, i mali del colonialismo e della cosiddetta “esportazione della democrazia” e ha anticipato quelli del neoliberismo, intravedendo una grande lezione di futuro. L’ottica sull’acuizione delle disuguaglianze, in chiave pucciniana, ha voce e profumo di donna. La “Madama Butterfly” che ascoltiamo oggi non è però la prima stesura della tragedia, che ha i contorni di una profezia, essendo essa basata già a Nagasaki, dove di lì a mezzo secolo sarebbe stata lanciata la seconda e ultima bomba atomica che per ora l’umanità ha conosciuto.

Puccini, infatti, alla Prima della Scala nel febbraio del 1904, andò incontro a un fiasco micidiale, o come lo diremmo oggi, a un flop. Il pubblico non si limitò ad essere freddo nei confronti dell’opera e del suo creatore, silurò l’opera, forse aizzato da baruffe tra tifoserie rivali, una logica non diversa dai dissing via social cui siamo costretti ad assistere oggi. A nulla era valsa la ricerca filologica, l’attenzione maniacale alle leggi, ai suoni, ai costumi giapponesi. Sta di fatto che l’opera fu parzialmente riscritta, spostando l’asse della presenza sul palco dalle voci femminili a quelle maschili.

In particolare, fu una, la figura sacrificata, che subì un destino anche più beffardo di quello di Cio-Cio-San: il silenzio. Costei era Kate Pinkerton, la sposa americana. Una figura che già all’epoca dovette sembrare controversa: una giovane sposa che si scontra con un mondo in declino e con una realtà famigliare che nei suoi sogni di debuttante non era contemplata; una donna per cui il disonore è uno specchio deformato dall’ipocrisia e dalle convenzioni sociali; una moglie che trova il fango, una volta grattata la superficie di un marito amorevole; una vincente, ma a quale prezzo?

A provare a portare in chiaro queste zone d’ombra dell’azione di amore e morte, la vera sfida della modernità applicata al melodramma, ci prova l’associazione turese “Chi è di scena”, per la quattordicesima edizione del “Festival del Belcanto”, con il patrocinio del Comune di Turi e dell’Ordine dei Giornalisti e il sostegno di “Cultura & Armonia”. Una serata che ha il profumo di fiore di ciliegio, anche in piena estate, proprio nella cittadina che, assieme a Casamassima e Conversano, assiste ogni primavera a un hanami tutto pugliese, essendo questo del Sol Levante d’Italia un polo di coltura cerasicola di importanza internazionale.

Sul palco, Alina Liccione presenta l’Orchestra Sinfonica del Levante, diretta da Ferdinando Redavid, anche Direttore Artistico del Festival. La voce silenziata di Kate Pinkerton è affidata a quella, straordinaria e di carattere, di Giuliana De Sio, con brani del racconto di John Luther Long che, per tramite della pièce teatrale di Belasco, ispirarono il libretto di Illica e Giacosa.

Il recitativo della De Sio è intervallato, in ottima armonia, dalle arie più significative dell’opera. Cio-cio-san è interpretata da Valentina De Pasquale, Pinkerton da Joan Laínez, il sensale Goro da Prisco Blasi, l’ancella Suzuki da Angela Alessandra Notarnicola (straordinaria la sua preghiera, un “mai più” struggente), il console Sharpless da Carlo Provenzano. I cori Opera Festival città di Bitonto e Vox sono diretti rispettivamente da Giuseppe Maiorano e Giuseppe Cacciapaglia. La regia è di Vincenzo Grisostomi Travaglini, la drammaturgia di Ravivaddhana Monipong Sisowath, le scene di Damiano Pastoressa. La scenografia e i movimenti scenici adottano una scelta di mezzo tra le regie tradizionali e quelle più contemporanee, la direzione d’orchestra crea un suono orgogliosamente intimista, molto adatto al clima riflessivo richiesto dallo spettacolo.

Il risultato è la spiegazione del vero sacrificio della tragedia pucciniana: il gesto di debolezza della sposa americana, il suo asservimento all’imperialismo formato famiglia, passa attraverso l’assenza di ogni sorellanza con la povera geisha accecata dall’amore fino all’estremo e con la di lei ancella, tesa per tutto il tempo a un lavoro di mediazione e interscambio tra culture, mondi, età, aspettative. Una donna che perdendo la linea femminile da sorella e prendendone una di madrità usurpata, probabilmente finirà per non trovarsi mai più. Mai più, come dice la preghiera di Suzuki.

Un recupero filologico cui Puccini, nella sua ricerca maniacale delle radici delle storie che ha raccontato, avrebbe arriso senza dubbio alcuno.

Il programma del festival è stato tutto improntato al centenario della morte di Puccini, per poi concludersi domenica 4 agosto con la consegna del Premio Belcanto ad Amelia Felle.

Beatrice Zippo
Foto di Beatrice Zippo

Condividi

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.