“Dear lady Moore, thank you so much, I loved your american piano perfomance”, e lo scrivo in inglese perché spero Le giunga il mio piccolo messaggio di ringraziamento.
Sino a ieri non avevo avuto il piacere di incontrare musicalmente e di apprezzare le doti della pianista australiana Lisa Moore; il garbo con cui ha voluto, sin dalle prime battute, creare – riuscendovi – il legame con il pubblico mi ha conquistata da subito, restituendo un sentimento di accoglienza ancor più quando ha iniziato a parlare in un buon italiano, dapprima per ringraziare il promotore del concerto, nonché suo stimato amico, l’affabile Maestro Emanuele Arciuli, e poi per presentare ogni singolo pezzo eseguito.
E così, nell’ambito della settima edizione del “Bari Piano Festival 2024”, nella calda serata del 26 agosto, all’interno dell’incantevole Chiostro di Santa Chiara, si è esibita, in esclusiva nazionale, un’artista di rilievo internazionale o per dirla con le parole del maestro, qui nelle vesti di perfetto presentatore e non solo di impareggiabile deus ex machina del Festival: ““Uno degli esponenti più importante del pianoforte americano” che ha alle spalle un’intensa carriera costellata da collaborazioni eccellenti, ha lavorato con oltre 200 compositori viventi, ha inciso numerosi album da solista ed in collaborazione, senza trascurare la sua partecipazioni in orchestre dirette da maestri del calibro di Leonard Bernstein e che tanto ancora farà parlare di sé”.
Elegante nei modi e nell’accarezzare la tastiera, la Moore, splendida rappresentante della classe 1964, leggenda del pianoforte contemporaneo, ha continuato il percorso unico sulla musica d’oltreoceano seguendo il filo conduttore di questa edizione. Il programma l’ha vista infatti impegnata in un selezionato repertorio di musica contemporanea americana (da cui il titolo del recital), genere nel quale profonde tutto il suo impegno professionale e la sua passione che coltiva e condivide anche con un gruppo americano dal nome “Bang on a Can”, promotore ed organizzatore, altresì, di eventi musicali.
I compositori prescelti appartengono tutti alle ultime generazioni, come ci spiega il nostro mentore Arciuli, ovvero quelli collocabili nel periodo del secondo dopoguerra in poi e così, sotto i nostri occhi si sviluppa una carellata di pezzi magnifici che non potevano che prendere il via con un brano composto dal padre della musica americana, Charles Ives, che tra il 1916 ed il 1919 ha composto un brano assolutamente rivoluzionario, una sonata denominata “Concord” suddiviso in quattro movimenti di particolare difficoltà tecnica ed interpretativa, ciascuno dei quali dedicati ad importanti scrittori. “The Alcotts”, il terzo movimento, il più breve, è un omaggio alla famiglia Alcott, che ha dato i natali a Luisa May, autrice del popolarissimo romanzo “Piccole donne” , in cui riviviamo la dolce e a tratti malinconica rappresentazione delle atmosfere familiari della nota compagine grazie alle abili mani – e cuore – della Moore che rende ancor più fruibile e lirica l’ambientazione che ci è facile immaginare e dalla quale ci facciamo facilmente trasportare anche per la citazione – a tratti – di una riconoscibilissima “Quinta” di Beethoven, tema ricorrente nell’intera sonata.
Ogni pezzo che si sussegue, tra cui “Etude no. 2” di Philip Glass, “Orizzonte” di Missy Mazzoli, compositrice americana di origini abruzzesi, pezzo che si avvale dell’ausilio dell’elettronica a sottolinearne il mood introspettivo e meditativo, ed “ Earring” di Julia Wolfe, sono dei piccoli capolavori in cui la geniale combinazione di note, di chiavi, di pause, di accordi, di segni dinamici, dei bemolli piuttosto che di diesis, richiede la compresenza di un elemento imprescindibile: un’interprete come la Moore che dia spessore, carattere, espressione, sentimento allo spartito tanto da esprimere ed esaltarne il valore intrinseco.
I virtuosimi, resi dalla pianista in forma apparentemente semplice transitati tra le sue mani e le corde del pianoforte a coda sono risuonati potenti ma con grazia, dolci ma incisivi, ci hanno strappato l’anima in diversi passaggi, come nel caso della bellissima “Ishi’s Song”, brano che nasce dalla trascrizione (nel 2012) di quello in lingua madre composto da Ishi, l’ultimo indiano d’america sopravvisuto al suo popolo e che porta con sé tracce di una comprensibile storia tragica e complessa, come apprendiamo direttamente dalla voce del simpatico compositore (ma non solo) Martin Bresnick, presente in sala, che declina anch’esso (teneramente) parole in italiano per presentarne l’origine e per invitarci ad approfondirne la storia.
La piacevolissima scoperta della maggior parte dei pezzi scritti da compositori in scaletta, parte dei quali a me ignoti, è stata duplice anche per aver appreso, nella medesima occasione, che molti di essi sono stati discenti dello stesso Bresnick – titolare di cattedra presso la “Yale School of Music”. E’ il caso di David Lang, del quale la Moore ha eseguito un bellissimo “Wed” (sposarsi) che l’autore ha voluto dedicare ad una sua amica che, sebbene in fin di vita, ha voluto sposare il suo compagno sul suo letto d’ospedale.. “i matrimoni sono fondamentalmente ottimisti, quindi ho provato a scrivere un pezzo che oscilli tra consonanza e dissonanza, che crei un equilibrio tra tragedia e speranza”.
Il penultimo pezzo è un ipnotico “Piano Piece n.4” di Frederic Rzewski, altro compositore e pianista statunitense (ma di origini polacche) noto per ispirarsi a temi sociali e storici, si pensi alle 36 variazioni sul tema “El pueblo unido jamás será vencido” di Sergio Ortega – delle quali non posso non ricordare la splendida e recente esecuzione del Maestro Arciuli per la Fondazione del Teatro Petruzzelli – e del quale diventano esplicative le parole da quest’ultimo rilasciate in un’intervista di qualche anno in relazione al pezzo del suo amico: “Nasce e finisce in un indistinto magma di note ripetute che vaga per la tastiera, come se arrivasse dal nulla e al nulla tornasse. Ma a un certo punto accade qualcosa: nel corso di questo flusso si manifesta, come un fantasma, un canto indio d’origine sudamericana, un canto di liberazione, e anche questo poi scompare, avvolto dal mistero della notte”; se a ciò si aggiunge la classe e l’espressività della nostra Lisa, la magia non può che essere definitiva.
La Moore non poteva che congedarsi da noi con la stessa dolcezza e signorilità che ha contraddistinto la sua performance sin dal principio, intonando una dolce melodia, pari al sorriso che ha mantenuto per tutta la serata, sulle note di una musica che ha sugellato ed incorniciato una serata di classe.
Gemma Viti
Foto dalla pagina Facebook del Festival
Una recensione che fa sognare e regala quel piacere anche a chi non ha potuto esserci