Vito Signorile prosegue la sua rilettura delle opere di Dario Fo con la clownesca “Gli imbianchini non hanno ricordi” per il primo sold out della nuova Stagione del Teatro Abeliano di Bari

Sold out, clima di festa e abbraccio affettuoso a Vito Signorile da parte del pubblico barese per la prima nazionale di Gli imbianchini non hanno ricordi, farsa di Dario Fo del 1958, che la Compagnia dell’Abeliano ha portato in scena sabato 31 agosto. Lo spettacolo, penultimo appuntamento della rassegna Luna barese, era uno degli innumerevoli momenti dell’iniziativa Le due Bari, promossa dall’Assessorato alle Culture del Comune. Un ponte tra centro e periferie, tra palcoscenici blasonati, piccoli teatri di quartiere, piazze, chiostri, cortili. La possibilità di godere ogni sera, gratuitamente, della bellezza del teatro, della musica, della danza, della poesia.

L’affetto del pubblico barese nei confronti di Vito Signorile è davvero particolare: gli si riconosce il ruolo di custode attento di un patrimonio fatto di cultura popolare, tradizione, storia della lingua e della civiltà barese e meridionale. Ma si apprezza in lui anche l’entusiasmo che lo porta a condividere la sua valigia di attore con giovani (e meno giovani) appassionati di questa vita da palcoscenico. E così ogni tanto “frequenta” il teatro contemporaneo, qui rappresentato da quella che lo stesso autore aveva indicato come una farsa per clown. Come era già avvenuto nella scorsa stagione teatrale in Non tutti i ladri vengono per nuocere (sempre di Dario Fo), Signorile dà il suo personalissimo taglio all’opera, in questo caso raccogliendo l’invito esplicitato nel sottotitolo (farsa per clown) e offrendo uno squarcio di spirito circense.

E anche qui, come nella precedente commedia, decide per una specie di prologo, una sorta di sigla musicale che vede in scena tutti gli attori e che indica da subito il richiamo forte al camuffamento e alla clownerie. La trama originale è molto semplice: due improbabili imbianchini si ritrovano in una casa del tutto particolare (siamo negli anni immediatamente successivi alla legge Merlin) e con personaggi alquanto singolari: una vedova apparentemente indifesa che si rivelerà diabolica, uno strano manichino che troneggia su una poltrona al centro della scena, un nostalgico fruitore dei “prodotti” della casa, quattro avvenenti ragazze in abiti da odalisca.

Il tono è quello del paradosso, del grottesco. E anche se la partenza è un po’ lenta, in seguito il ritmo si fa più sostenuto, soprattutto nelle scene che vedono coinvolti Signorile, Enzo Sarcina e Nicola Conversano, quando accanto alla parola si fa prezioso il gesto, il lazzo, la mimica del corpo e del viso, la sinergia tra gli attori.

Antonella Liso si inserisce  agilmente nel gruppo calcando i toni del suo personaggio, una vedova scaltra implicata in traffici poco chiari in questa ex (ex?) casa di piacere. Gli altri personaggi sono degli “incursori” che intervengono a spezzare o a collegare i diversi momenti della farsa: Daniela Ladisa, Lucia Petroni, Matilde Mileto, Agata Paradiso, Tommaso Citarella danzano, cantano,  dando ulteriore colore e brio.

Signorile sceglie di virare in alcuni momenti verso la commedia musicale, affidandosi a brani composti per l’occasione da Davide Ceddìa, in un’atmosfera sempre giocosa sottolineata dalle coreografie di Sabrina Speranza, dai costumi di Scenotesi e dal disegno luci di Danilo Milillo. Equivoci, travestimenti, scambi di persona, danno vita ad un divertissement che offre l’occasione per una serata piacevole, distensiva e divertente.

Imma Covino
Foto dalle pagine della Compagnia

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