Se si va a guardare un film della Marvel normalmente non ci si pone il problema della profondità dei dialoghi o della iterazione complessa dei sentimenti dei protagonisti alla Jane Austen o addirittura del vero o falso alla Pirandello. Si sa che il bello, o il brutto, di questi film è la loro superficialità, il disegno infantile dei personaggi insieme all’incredibilità (in tutti i sensi) delle loro avventure. Sono storie standard. C’è il cattivo o i cattivi, c’è il buono o i buoni, distruzioni di beni che neanche una guerra atomica, morti come se piovesse e la fine del mondo sempre ad un passo. Insomma, la logica del fumetto coniugata con il video gioco e se non vi piace, o vi ste facendo male, basta fare rewind e ricomincia tutto da capo. In maniera sempre più improbabile.
La Marvel, Disney, Columbia, Fox tutte le più grandi case produttrici si sono cimentate in questo gioco per adolescenti non cresciuti. Abbiamo assistito a scontri epici ed infiniti. Personaggi di film e storie diverse che in maniera piuttosto singolare si ritrovano a combattere contro lo stesso nemico o contro sé stessi (pensate a Batman contro Superman che poi diventano Justice League e insieme combattono contro i cattivi). Un universo che con mezzi elettronici sempre più sofisticati ed effetti speciali francamente strabilianti, in certi momenti presenta storie sempre più banali ma non stupidamente banali, studiatamente banali e apparentemente stupide.
Per creare sempre nuovi motivi filmici si creano situazioni che vanno al di là dell’invenzione. Come quei film che si vedevamo all’oratorio ( oggi sale cinematografiche impegnate tipo Splendor) in cui si mischiavano i peplum (le storie dell’antichità, Roma o Grecia non aveva importanza) con i Pirati e il Corsaro Nero con i tre o quattro o anche più Moschettieri. Gli spaghetti western che erano ambientati in luoghi improbabili con facce che era più facile incontrare nelle osterie invece che negli immensi spazi del west.
Il problema, allora come oggi, è che non si può andare avanti all’infinito e quindi bisogna inventarsi qualcosa. Marvel e compagni quindi si sono immaginati la fine degli Avengers in una battaglia in cui sostanzialmente muoiono quasi tutti, anche i buoni. Così come gli Xmen, morti nella guerra con gli uomini “normali” o i Guardiani della Galassia spentisi nell’eccesso di cibo e di chirurgia estetica.
A questo punto senza Xmen, senza Avengers, con la saga Loki finita, e anche i Guardiani della galassia messi piuttosto male, ai nostri intrepidi autori non rimaneva molto altro se non l’immarcescibile Deadpool sanguinario, chiacchierone, non tanto buono super eroe.
Allora il pool degli autori Rhett Reese, Paul Wernick, Zeb Wells, Ryan Reynolds, Shawn Levy hanno inventato una storia utilizzando tutto il materiale presente in questo momento e tirando fuori forse l’unico super eroe non tanto super e ben poco eroe ovvero il redivivo Wolverine, ignorando, ad esempio, che il nostro era morto nel film “Logan”.
La scelta di Deadpool e Wolverine, noti per il loro approccio irriverente e ultra violento, nasce probabilmente dalla necessità di contrapporre contesti narrativi e “superumanità” profondamente diverse. Deadpool, il mercenario chiacchierone, che si distingue per la sua natura auto-consapevole, la sua propensione a infrangere la quarta parete oltre che ad una spietata logorrea, si contrappone a Wolverine, introverso, taciturno, tormentato e violentissimo quasi malgrado sé stesso. Il tutto giocato sulla falsa omosessualità di deadpool mentre Wolverine, soprattutto con la maschera, è oggettivamene un’icona gay che neanche Barbara Streisand.
Ne è venuta fuori un’operazione, in cui due dei personaggi più iconici dell’universo Marvel, coniugano diversi mondi paralleli del fumetto e dei produttori. In questo contesto, si potrebbe interpretare la loro dinamica come un’operazione di “apologia del fumetto splatter”, in cui la violenza, spesso di incredibile ed insensata brutalità, non è solo un espediente narrativo, ma diventa parte integrante del commento.
Parlare di recitazione in questo film sarebbe onestamente ingeneroso, visto che la massima parte del tempo viene occupata da due soggetti che sono in maschera (Deadpool lo è quasi per l’intera durata della pellicola).
Di assoluto pregio la fotografia di George Richmond, così come il montaggio che incalza ma non diventa mai eccessivamente frenetico come potrebbe rischiare.
Trattandosi di un film di immagini e parole (non necessariamente coordinate fra loro) da lodare il doppiaggio di Francesco Venditti Rayn Reynolds/Deadpool e di Fabrizio Pucci (a cui dobbiamo il famosissimo “Ti spiezzo in due”) Hugh Jackman/Wolverine.
Il commento musicale delle scene non è solo colonna sonora ma è parte integrante della follia dell’azione, creando la falsa sensazione di una sostanziale innocuità del sangue e della morte così come nei video giochi.
Madonna si regala ai due con “Like a prayer” (https://youtu.be/qn3ij3M54Yw)
Gli altri pezzi incrementano la voluta incongruità musicale delle scene della colonna sonora.
I’ll Make Me Lose Control – Eric Carmen
I’ll Be Seeing You – Jimmy Durante
Immaginate queste canzoni, soprattutto la seconda, in scene di violenza di massa.
Il finale, come sempre in questo genere di film lascia spazio a nuove avventure e la collaborazione tra i due potrebbe generare nuove forme di narrazione, sia nei fumetti che nelle produzioni cinematografiche. Esperimenti visivi e narrativi, che potranno perpetuare il genere, autoalimentando la centrale atomica del fumetto visivo.
Per gli amanti del genere un’apoteosi fumettistica in cui tutto viene frullato e, nella sua dimensione, costruito in maniera quasi perfetta.
Se non vi piace, starne alla larga è troppo poco.
Marco Preverin