La settimana sportiva: l’analisi di Bari – Cosenza

Dispiace. Certe gare, non vinte in questa maniera, dove la squadra ha giocato da squadra, con grande spirito di sacrificio, senza alzare barricate come qualunque altra squadra avrebbe fatto in inferiorità numerica e con un gol di vantaggio, anzi, cercando persino il secondo gol, lasciano un retrogusto amaro. Peccato, perché il Bari stava giocando davvero bene e aveva la vittoria tra le mani. Ancora una volta, a far pendere la bilancia sono stati i soliti – nel nostro caso, dannati – episodi che tante volte cambiano il corso di una gara: un’espulsione ingenua di Lella e un braccio teso di Saco quanto bastava per decidere il rigore, peraltro a un paio di minuti dalla fine. E non evidenziarli non sarebbe giusto. Perché non si deve parlare di gara sfortunata, ma di gara regalata agli avversari, quantomeno di due punti. Peccato, perché il Bari avrebbe meritato la vittoria non tanto per le occasioni create e sbagliate, quanto per l’atteggiamento e la volontà di non tirare i remi in barca, cercando di chiudere la partita: una rarità nel calcio. E questa è la “mano” di Longo che, ancora una volta, ha fatto capolino in campo. La sua “mano” mi ha ricordato “Il Conte di Montecristo” di Alexandre Dumas, dove la “mano invisibile” di Edmond Dantès si fa sentire in ogni piega della trama, guidando gli eventi secondo la sua volontà, così come l’esoterico lavoro di Longo sembra plasmare le sorti della squadra in campo.

Il Bari ha dimostrato di essere una “squadra”, di essere un “gruppo” già rodato, perché una gestione del pallone e del gioco, una capacità di gestire con intelligenza tattica tutte le fasi come quelle viste sabato, non può che farci pensare positivamente. Anche se il pareggio, in fin dei conti, non è stato un risultato “rubato” dal Cosenza che, tuttavia, non è stato a guardare: ha prodotto anch’esso le sue (poche) occasioni per pareggiare. Una gara, tutto sommato, equilibrata, ma non spettacolare, anzi ingessata.

A mente fredda, dopo aver sbollito la rabbia e la delusione, non possiamo dire che il Cosenza non abbia meritato il pareggio, perché se da un lato ha creato poco per meritarlo, dall’altro non ha concesso chissà cosa al Bari, che in attacco è parso troppo legnoso, e le occasioni da rete sono state poche in relazione a una squadra di medio rango come era il Cosenza, che ha dimostrato di essere un gruppo solido in tutti i reparti, soprattutto in difesa, una squadra compatta che ha ragionato in soli venti metri, quanto bastava per fermare le idee dei biancorossi.

E nulla ha potuto nemmeno un sontuoso Maita, forse alla migliore prestazione da cinque anni a questa parte. Un Maita ritrovato, di cui non si può proprio fare a meno. E comunque l’impressione è che, al di là del pareggio, si sia fatto un altro passo in avanti, perché pur non avendo vinto, la squadra ha fatto breccia nel cuore dei tifosi, che le hanno tributato ancora una volta l’applauso, come sta accadendo da qualche giornata. Una prestazione importante, forse più significativa di quella col Mantova, risultata meno spettacolare, contro un avversario in forma come era il Cosenza, e poi perché si giocava in inferiorità numerica. Peccato, sarebbe stata una bellissima e significativa vittoria.

Il Bari c’è, dimostra di essere organizzato, ha giocato la sua partita, la solidità a centrocampo, con un grande lavoro di Benali e Maita, non ha mai fatto soffrire la difesa del Bari. Un Bari finalmente efficace sulle palle inattive. Una musica diversa, se si pensa a ciò che era il Bari lo scorso anno: uno spartito più armonico e bello a vedersi, un Bari che diverte, che dimostra di esserci e di non aver paura di nessuno. La crescita è evidente ed è sotto gli occhi di tutti.

Rimangono tuttavia speranze per un prosieguo di campionato dove, quantomeno, la sofferenza sarà un brutto ricordo.

Massimo Longo

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