È apparsa sul palco del Teatro Petruzzelli di Bari in un tailleur pantaloni color magenta chiaro di ciniglia e scarpe bordeaux in velluto. Una folta chioma riccia castano chiaro con un fermaglio sulla nuca a liberare lo sguardo incorniciato da occhiali con una montatura semplice. In piedi, accanto al pianoforte, ha guardato il pubblico con un sorriso pulito, un filo accennato di trucco, mentre stropicciava tra loro le mani. Era sicura nello sguardo, ma discreta nella presenza, quasi deferente rispetto alla sacralità del luogo e dello strumento che si accingeva a toccare.
E’ stata magnifica! Lo è stata nel senso etimologico del termine. La musica l’ha fatta grande; ha permesso a quella giovane donna, apparsa così discretamente sul palco, di riempire il teatro di suggestioni, visioni, scenari, emozioni, gratitudine.
Maria-Ange Nguci, 27 anni, ha talento, un talento fatto di tecnica e di sensibilità interpretativa. Il tocco su quegli ottantotto tasti non è mai stato casuale o istintivo, ma calibrato in modo che il peso dei martelletti conducesse a quella evocazione intima che il suono avrebbe voluto e dovuto, mentre nasceva in lei, generare in chi ascoltava.
Il programma del concerto da lei eseguito presentava difficoltà non solo tecniche, ma anche interpretative, considerando che per esempio Gaspard de la nuit di Ravel, è un pezzo difficile, ma già nel repertorio di famosi pianisti, per cui soggetto a facili confronti.
Marie-Ange ha aperto il concerto con la Sonate n.5, in Fa diesis maggiore, op.53 di Aleksandr Skrjabin con un’incursione incipiente nel silenzio della sala. Ha destreggiato modulazioni e suoni con leggiadra determinazione, alternando rapidità e lentezza, suono potente e dimesso. La sua versione è stata fedele al dettato tecnico del compositore, dando, tuttavia, la sua impronta narrativa a quell’andamento del tempo suggerito dai movimenti esecutivi della composizione di Skrjabin: Allegro, impetuoso, con stravaganza – Presto con allegrezza – Languido – Prestissimo – Allegro – Presto. Grazie a quelle dita e a quel pianoforte, avremmo potuto toccare fisicamente la materia del tempo, così come indicato in partitura.
La sfida con Rachmaninov è sempre un terreno pericolosissimo per un pianista. Marie-Ange ha reso, anche in questo caso, degno servigio alla musica.
La sua versione delle Variations sur un thème de Chopin, op.22 di Sergej Rachmaninov si è distinta da subito per I’incipit delicato, che ha fatto il suo ingresso nel silenzio colorando delicatamente e in crescendo. Questa donna ha indiscutibilmente un potere narrante del tocco, tanto da figurarsi un dialogo tra i gravi dell’ottava centrale e il suono brillante dell’ultima decina, con toni benevoli, accoglienti e riflessivi nei lento, moderato, grave, ma anche decisi e chiari, caratterizzati da urgenza narrativa nei presto, mosso e allegro, resi con la perentorietà del gesto esecutivo, che in più parti nel corso dell’esecuzione ha dato un anticipo di quello che sarebbe stato un finale maestoso, raggiunto con convinzione in quel presto. Il dipinto musicale realizzato dalla Nguci ha ben rappresentato i due romanticismi, temporalmente e geograficamente distanti, ma non intimamente, di Chopin e Rachmaninov. Ciò probabilmente anche grazie alla versatilità musicale di questa pianista, appassionata sia del repertorio classico accademico, sia di quello contemporaneo. Ricordiamo che tra i recenti esecutori delle stesse variazioni c’è Nikolaj L’vovič Luganskij. La nostra giovane pianista ha retto decisamente il confronto.
La seconda parte del concerto prevedeva in programma Maurice Ravel, Gaspard de la nuit- Trois Poèmes pour piano d’apres Aloysius Bertrand, e di Sergej Prokof’ev la Sonata n. 6, in La maggiore, op. 82.
Il suo Gaspard de la nuit ha fatto uso dell’aria come spazio di materializzazione del suono. La caratteristica esecutiva della musicista è, non assolutizzare la narrazione usando solo i suoni prodotti dal pianoforte, ma proporre una versione quasi orchestrale inglobando il potere sonoro del silenzio. Per eseguire la composizione di Ravel sono stati usati tutti gli 88 tasti, ma ciascuno moltiplicando il suono per ogni sfumatura che può conferirgli l’uso magistrale del loro peso e la miscelazione con il vuoto sonoro o il mantenimento ad libitum. Il risultato è stato un dipinto che ha reso le possibili ambientazioni tipiche della notte: suoni argentini e cupi, quelli della contemplazione notturna, attraversamenti cromatici tra gravità del buio, dei pensieri e speranza argentea ispirata dalla luce della luna e delle stelle. Sicché, una sorta di trascendenza orizzontale, articolata dallo scivolamento delle dita sui tasti del pianoforte, ha portato a un’ascesi evocativa, grazie al liberarsi del suono dal pianoforte e il suo librarsi nella sala, toccando lo spirito di chi, come noi, stava ad ascoltare. Era come se coltri leggere si definissero davanti a noi, per poi discostarsi e dissolversi mostrando sonorità d’acqua, di camminamenti e di sogno. Impossibile non riconoscere il debito che Gershwin ha con Ravel, suo maestro e nume, nel centro del trittico. Anche in questo caso l’esecuzione di Marie-Ange Nguci, ha evocato la presenza dei due illustri compositori.
Ha chiuso il concerto la Sonata n. 6, in La maggiore, op. 82 di Sergej Prokof’ev. Il piglio esecutivo anche in questo caso ha contribuito alla figurazione, attraverso l’articolazione magistrale e la mescita delle note, di scenari immaginifici. Prokof’ev ha già di suo questa intenzione al racconto quando compone, usando la caratterizzazione timbrica degli strumenti e dei suoni di ciascuno strumento per pixellare situazioni o personaggi. Lo fa anche attraverso l’uso iconico del tempo musicale. In Prokof’ev il tempo non si svolge in modo ordinario, e questo è stato fedelmente reso dall’esecutrice. Questo uso del tempo permette anche al racconto di movimentarsi, non limitandosi a dire e descrivere la scena del presente o del passato, ma fa in modo di interromperla, introducendo scene altre e lontane, rendendo anche la narrazione non lineare. Per questo il piglio esecutivo di Marie-Ange Nguci, attraverso le evoluzioni musicali delle sette note, ci ha permesso di assistere ad una sorta di proiezione filmica tra il funambolico circense, la spensieratezza, fino a figurarsi uno scanzonato fischiettamento. Il finale è stato lieve, tinteggiato con delicatezza e cura in due cesure, fino alla scomparsa del suono dell’ultima nota nell’aria.
Applausi, tanti, meritatissimi e un ultimo regalo, un accenno del concerto per la mano sinistra di Ravel. Un prodigio!
Alma Tigre
Foto dal web