I Jethro Tull, icona del rock progressive britannico, hanno lasciato un segno indelebile a Bari con il loro concerto al Teatroteam, una serata che ha intrecciato passato e presente in un’unica grande narrazione musicale. La band, in viaggio con “The 7 Decades Tour,” celebra non solo i sette decenni di carriera, ma anche l’incredibile capacità di evolvere pur mantenendo intatto il proprio spirito. Con l’ultimo album, *RökFlöte*, Anderson e compagni hanno dato un contributo di nuove sonorità che rivelano come, anche a distanza di oltre vent’anni, l’ispirazione e la creatività siano ancora il cuore pulsante di questa leggendaria formazione.
Sul palco, Ian Anderson, leader incontrastato ed ormai ultimo membro originario della band, ha portato la sua storica teatralità. Con il flauto in mano come un maestro della scena, ha alternato momenti di virtuosismo e improvvisazioni, in una sorta di duello immaginario con la musica stessa. Nonostante l’età e la carriera lunga e impegnativa, Anderson è apparso ancora in forma, dimostrando che la vera passione non si misura con il tempo. Al suo fianco, i membri attuali dei Jethro Tull – David Goodier, Scott Hammond, John O’Hara e Joe Parrish James – hanno dato un’energia rinnovata ai classici, ma anche una spinta vitale ai pezzi nuovi, mostrando una sintonia rara e una capacità di reinterpretazione che è essenziale per mantenere viva la memoria e l’innovazione.
La scaletta ha visto un’alternanza di capolavori indimenticabili come “Songs from the wood”, “Too Old to Rock’n’Roll Too Young to Die” e la monumentale “Aqualung”, brani che hanno segnato la storia del rock progressivo e che il pubblico ha accolto con grande partecipazione. La loro celebre “Bourée”, una reinterpretazione in chiave rock del classico di Bach, ha lasciato il pubblico quasi sospeso, in uno stato di ipnotica malinconia. La scenografia minimale, con immagini in bianco e nero di porti, treni e stazioni, evocava un senso di viaggio nel tempo, come se ogni nota ci riportasse agli anni ’60 e ’70, epoca in cui il sound dei Jethro Tull è nato e cresciuto.
Una citazione di Friedrich Nietzsche – “Senza musica, la vita sarebbe un errore” – sembra incarnare perfettamente lo spirito della serata. Perché i Jethro Tull non sono solo una band; sono l’essenza stessa di un’epoca in cui la musica era ricerca, sperimentazione e una fuga dalle convenzioni. In un mondo moderno sempre più incerto, vedere Anderson danzare con il suo flauto, avvolto dalla musica dei Jethro Tull, era come essere trasportati in una dimensione parallela, in cui ogni nota sembra voler affermare che la vera arte è quella che si rigenera, che non invecchia e che trova sempre un nuovo significato.
Il concerto di Bari non è stato soltanto una celebrazione di una carriera straordinaria, ma anche una riflessione sul significato stesso del tempo e dell’evoluzione. Come i classici, che pur essendo antichi parlano ancora ai contemporanei, i Jethro Tull hanno ricordato al pubblico che la musica è uno dei pochi linguaggi universali capaci di attraversare le generazioni, di rompere le barriere e di lasciare un’impronta nell’anima di chi ascolta. La malinconia diffusa alla fine dell’ultimo bis “Locomotive Breath” era quella di un pezzo di storia che si dissolve, quasi un amaro richiamo all’inevitabilità del tempo che passa, ma con la consolazione che la musica dei Jethro Tull rimane un rifugio sicuro, una testimonianza di un’arte che, finché suonata, non conosce declino.
E mentre gli spettatori abbandonavano il Teatroteam, si avvertiva un sentimento di appagamento misto a malinconia, come se quel tramonto poetico rappresentasse anche la chiusura di un cerchio, uno specchio della vita stessa: ogni fine porta con sé la bellezza del percorso, un segno di ciò che resta eterno nell’effimero.
Massimo Longo
Foto di Massimo Longo