Rimanda ai dipinti impressionisti di Degas e Manet, con i protagonisti bloccati in un antico e torbido specchio dorato offuscato dal tempo, “Il caso di Via Lourcine” di Eugène Labiche riproposto a Bari dalla Compagnia Diaghilev nella Stagione 2024.25

La Compagnia Diaghilev ripropone anche nella Stagione 2024.25 nello splendido spazio della Vallisa di Bari, “Il caso di Via Lourcine” atto unico del celebre drammaturgo parigino Eugène Labiche, padre del vaudeville noir, in cui l’autore, attraverso equivoci e farse, mette a nudo rendendoli risibili i vizi della media borghesia parigina di metà Ottocento.

La scena è ambientata nell’elegante salotto parigino della casa del ricco signor Lenglumé, a seguito di una notte di bagordi. Justin, il maggiordomo della casa, furtivamente intento a cercar per sé tabacco e vino, raccatta sospettoso abiti malconci e scarpe infangate sparse nella stanza. Poco dopo il suo padrone Lenglumé, appena destato, trasecolato e traballante per i postumi della sbornia passata, scopre che nel suo letto non ha dormito solo.

Tra le lenzuola infatti, inspiegabilmente ode ronfare uno sconosciuto. Lo strano individuo goffamente saltato fuori dal suo letto, è il suo amico di un tempo Mistingue, che come lui il giorno prima aveva partecipato al pranzo per gli ex collegiali del liceo Labadens. Lenglumé conscio di essere uscito di nascosto alla moglie Norine, cerca impacciato pretesti atti a giustificare l’imbarazzante situazione venutasi a creare. I due peraltro, ancora avvinazzati, ballonzolando di qua e di là, non riescono a ricordare alcunché, se non di aver fatto bisbocce e di aver dato giù a bere. Con le mani nere di carbone e noccioli di frutta nelle tasche, discorrono fra loro formulando ipotesi macchinose ed ironiche frutto del loro ebbro stato, senza riuscire a giungere a conclusioni certe.

All’impeccabile Norine, elegante signora d’alto ceto, sempre abbigliata di tutto punto, viene fatto credere che l’ospite a lei ignoto è un facoltoso notaio, mentre invece Mistingué è un fragile individuo poco incline alle buone maniere, che sopravvive facendo il cuoco. Ma ecco che leggendo casualmente un trafiletto di un giornale, ella stessa scopre del cruento assassinio di una carbonaia avvenuto proprio quella notte in Rue de la Lourcine. Accanto al corpo martoriato della poveretta, un fazzoletto con le iniziali di Mistingué e un ombrello verde proprio come quello del caro cugino Potard, perso da Lenglumé. La vicenda poi, si ingarbuglia ancor di più quando dalle tasche dei protagonisti spunta una scarpina di raso e una cuffietta da donna. Questi non sembrano i segni di una notte brava, piuttosto le prove di un omicidio!

D’un tratto tutto appare chiaro: ogni indizio coincide e non possono essere stati che loro ad aver ucciso la giovane malcapitata! Dopo solo un momento di lieve smarrimento, i due si convincono di essere gli autori dell’efferato crimine. D’impulso il loro inconscio, rappresentato attraverso azioni comiche, grottesche e musicate, si manifesta mostrando quello che realmente sono e vogliono. L’uso della ragione non compare, così come non v’è cenno di commiserazione verso quel povero corpo martoriato. Unico pensiero è la propria salvezza!

Non c’è tempo da perdere, bisogna salvarsi la pelle, salvarsi la faccia e allora giù di corsa a nascondere ogni prova! Disposti a tutto, anche a sopprimere testimoni scomodi. “Laviam le mani, laviam ripetutamente le mani, la giustizia niente saprà”, ma il nero del carbone non scompare, come il Karma che non dimentica.

Una commedia noir in cui, lo sfondo tragico non emerge mai, come profondamente celato in un perbenismo qui ridicolizzato, che ostenta il moralismo fittizio della classe borghese. Alla fine tutto si metterà a posto o almeno a posto saranno le apparenze.

Una pièce brillante e disorientante allo stesso tempo, in quanto mostra attraverso l’utilizzo della farsa e senza voler fare la morale, il contrasto tra ciò che spudoratamente si vuol far apparire e ciò che invece è nella realtà. L’apparenza a discapito della vera essenza. Un testo giallo-comico in cui è evidente nell’autore la volontà di criticare, ironizzandola, l’alta società francese giocando su una serie di equivoci e su bugie non proprio innocenti, che portano ad altre bugie. Intrighi e malintesi, in cui i personaggi alterati grottescamente, sono perfettamente immedesimati ciascuno nel proprio ruolo, ma allo stesso tempo nessuno ha funzione prevaricante sull’altro.

Lo spazio contenuto e altamente suggestivo della Vallisa in cui la scena è allestita, permette allo spettatore di fruire da vicino ogni piccolo dettaglio, donando una sensazione piacevolmente inclusiva ed un effetto emozionale sorprendentemente trainante. Attento è lo studio dei costumi di Angela Gassi insieme all’ambientazione, perfettamente fedeli all’epoca.

Regista e insieme protagonista dell’opera, Paolo Panaro, fuoriclasse del nostro teatro, rapisce sempre per l’elegante impostazione della voce e per la sua magnifica espressività scenica. Rivela un Lenglumé incisivo e divertente, a tratti simpaticamente fantozziano, amabilmente stralunato da non distinguere un uomo da un gatto. Protagonista con lui di azioni frenetiche e spassose, Alessandro Epifani nel ruolo dello stravagante Mistingué dal naso rosso. Altea Chionna poi, seducente anche nelle sue prove canore, è Norine la raffinata signora di alto ceto delicata come una bambola di porcellana. Francesco Lamacchia, è Justin, lo scaltro domestico di casa, artefice dell’equivoco da cui nasce tutto e infine Mario Lasorella è Potard pronto per danaro a coprire le scappatelle di suo cugino.

La scena e i protagonisti rimandano a dipinti impressionisti di Degas e Manet. Sembra di ritrovare ognuno di loro, fermi ed impettiti nei loro splenditi abiti, in un antico e torbido specchio dorato, offuscato dal tempo.

Cecilia Ranieri
Foto dalla Compagnia Diaghilev

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