Ho conosciuto Sergio Vespertino l’anno scorso, quando ha portato sul palco del Teatro Abeliano di Bari lo spettacolo “Sopra un palazzo”. In quell’occasione bastarono pochi minuti perchè mi innamorassi del modo in cui abitava il palcoscenico e della capacità di catturare il pubblico riuscendo a coinvolgerlo nel suo monologo caotico, quasi nevrotico e apparentemente frammentato, ma anche malinconico e onirico.
Suo il palcoscenico, suoi gli spettatori, dall’inizio alla fine, senza mai rallentare nel ritmo ma con la capacità di variarlo più e più volte, cambiando continuamente registro. La piacevolissima scoperta di un artista che, nonostante le pregevoli incursioni nel mondo del cinema e della televisione, è fondamentalmente, ontologicamente, assolutamente uomo di teatro (questo avevo scritto e questo oggi ribadisco con ancora maggiore convinzione). Che ci faccia ridere sonoramente o immalinconire, che meravigli con la dolcezza delle parole sussurrate o ci scuota con voce stentorea, Vespertino ci fa sentire come per magia profumi, voci, atmosfere, e pur parlando un linguaggio universale, ci porta nel suo mondo, nella sua terra (la Sicilia) che per lo spazio di un’ora diventa anche la nostra.
È ancora una volta molto sottile il confine tra realtà e fantasia in questo nuovo spettacolo del quale è autore e regista, Il Signor Vattelappesca, una produzione della Società Cooperativa Culturale Sociale Agricantus, che è andato in scena al Teatro Abeliano nell’ambito della rassegna Maschere d’Olivo.
Nuovo, si fa per dire.
Il testo è del 2007, ma di recente è stato ripreso, reimpostato e rimodulato, anche a seconda del pubblico, del contesto, del luogo. Maestria di un artista capace di percepire l’uditorio, interagire, porgere un racconto piuttosto che una poesia, sempre tra il reale e il surreale, con la leggerezza di un sognatore che ci racconta la nostra stessa vita.
Questa è la favola del Signor Vattelappesca, uomo che sogna di volare, sempre più in sintonia con la natura e sempre più staccato dalla realtà che lo circonda e lo soffoca, come una zavorra, in fuga verso il cielo in una trasformazione tutta interiore che cambierà per sempre la sua esistenza.
Il Signor Vattelappesca potrebbe essere ciascuno di noi, se come lui avessimo la forza, il desiderio e la capacità di trovare quello stretto sentiero aereo, quel pertusicchio tra libertà e fantasia che gli permetterà di “scapparisinni via”.
Il confine è sfumato, la favola si mescola alla comicità di situazioni quotidiane. Si parte dal racconto del sorgere del sole, svelamento lento ma prepotente della luce; si replicano le voci e l’ironia ammiccante dei venditori della Vucciria; si evoca (quasi una costante nei suoi spettacoli) la figura energica e comica di una madre maniaca di pulizie e centrini; si ride dei convegni aziendali in cui dopo dieci minuti crolla l’attenzione e le palpebre si fanno pesanti, con esiti imbarazzanti; si racconta l’amore impossibile per Simonetta e la “maledizione dei cinque minuti”. Vespertino spazia tra sentimenti narrati, riflessioni profonde, racconti esilaranti, con un’empatia incredibile, con una personalità forte e decisa anche quando sussurra sogni e atmosfere rarefatte. La musica di Gabriele Lomonte alla chitarra è ponte e collegamento tra i vari momenti dello spettacolo, in una interazione costante e ironica.
Il Signor Vattelappesca è un racconto leggero ma mai banale, sfumato ma con i colori decisi della terra di Sicilia, alla quale Vespertino visceralmente appartiene pur senza esserne limitato. Ci rende partecipi di un patrimonio fatto di storia e tradizioni, dove la memoria comune conosce le favole di Giufà, i lazzi dei mercatali e la devozione alla Santuzza. Una ricchezza della quale, attraverso le sue parole, possiamo intuire la forza e la bellezza.
Quando ci si imbatte per la prima volta in un artista che non si conosceva si ha quasi timore di tornare a vederlo. Timore di rimanere delusi, di dover derubricare l’entusiasmo a un tiepido consenso, di accorgersi che in fondo ci si trova davanti ad un attore che ripete sempre lo stesso (collaudato) spettacolo. Qui non si corre questo rischio. Sergio Vespertino, pur avendo uno stile proprio e in qualche modo riconoscibile (quasi un’impronta) ha dalla sua un finissimo mestiere, l’empatia, la capacità di raccontare con sempre nuova energia, con parole ed emozioni diverse la realtà e il sogno, che dal palco ci meravigliano e ci avvolgono. Le battute finali di questo spettacolo così bello (semplicemente tanto tanto bello!) sono una pennellata di speranza, una pioggia leggera di poesia. Il messaggio che questo artista ci lascia è che, se lo si desidera, è possibile trovare un varco tra le nuvole attraverso il quale volare via. Tra la libertà e la fantasia, in qualche modo un pertusicchio si trova.
Imma Covino