Amo molto i film di Paolo Sorrentino, Le conseguenze dell’amore, ad esempio, è uno di quei film che ho guardato e guarderei senza stancarmi, ho amato molto anche La grande bellezza nella sua paludata lentezza, così come È stata la mano di Dio nel racconto di una scassata normalità famigliare, amo molto la costruzione dei personaggi dei film di Sorrentino, ovviamente sono completamente affascinata dall’uso della fotografia nella costruzione delle scene e credo sia inutile scrivere quanto le colonne sonore di questi lavori siano portanti e importanti nell’economia delle storie.
Il decimo film di Paolo Sorrentino, Parthenope, presentato a maggio al Festival di Cannes 2024 dove era in concorso per la Palma d’Oro, è arrivato nelle sale il 24 ottobre ma l’hype era già bella tirata da un po’; in una intervista a Vanity Fair Sorrentino ha detto “… il fatto che io sia maschio, bianco e che decida di raccontare una donna a modo mio, per alcuni è un problema. Dieci anni fa non lo era. Questo film se fosse stato fatto da una donna probabilmente avrebbe suscitato reazioni diverse. E probabilmente sarebbe stato fatto diversamente e anche meglio, devo essere onesto” e devo ammettere che tra tutte le interviste e le immagini del film in circolazione, questa è la dichiarazione che mi ha incuriosita di più e, sinceramente, ha creato in me un pregiudizio. In che modo lo sguardo di Paolo Sorrentino ha creato Parthenope? Quanta importanza avrà il corpo di questa donna in questa storia? Che Parthenope sia bella e giovane è scontato, che questo personaggio abbia spessore lo è meno.
Nella prima parte del film i rimandi al mondo lacapriano di Ferito a morte sono chiarissimi: nella casa nobiliare invasa dal mare, nelle onde che fecondano le fondamenta, nella ricerca della bella giornata sulle terrazze assolate e tra gli scogli ricamati dalla salsedine, nella fuga a Capri e nell’estate a caccia di corpi scoperti, nelle malinconie degli scrittori, nel gusto selvatico dei frutti di mare e nei fiumi frizzanti dello champagne si possono leggere le pagine della buona borghesia napoletana. Poi il twist: Raimondo si lascia andare, soffiando all’aria di Capri e arriva il colera, Parthenope diventa consapevole della forma del suo corpo. E allora il racconto lascia il fuori per andare dentro Parthenope, che usa con consapevolezza il suo corpo ma che non tradisce mai la testa. Parthenope che scopre l’importanza di vedere le cose quando tutto intorno non resta granché, Parthenope che matura, che guarda e non giudica. Mai. Piuttosto si lascia andare negli eventi, Parthenope beve la vita, come si beve un bicchiere d’acqua, con semplicità e appagamento.
Molti hanno messo l’accento su quanto la seduzione e il sesso fossero colonne portanti di questo film, e sicuramente lo sono, è indubbio che i corpi siano importanti in questa narrazione, è palese l’uso caravaggesco della luce per sottolineare il godimento dei sensi, la grande fusione di due giovani non lascia spazio all’imaginazione, non mancano scene saffiche o incestuose ma tutto è trattato con grande eleganza. Altri hanno proiettato sul personaggio di Parthenope le bellezze e le bruttezze di Napoli, le contraddizioni di una città complessa: soffocante e deliziosa, buia e solare, volgare e raffinatissima, colta e istintiva, povera e ricchissima, altissima e ariosa nelle sue costruzioni collinari quanto bassa e opprimente nei bassi aperti sui vichi, ma per me la cosa più importante di questo film è piuttosto la donna che è Parthenope, al di là di tutto il resto. Ho amato molto l’interpretazione di Celeste Dalla Porta e ho molto apprezzato la scelta di Stefania Sandrelli nel ruolo di Parthenope matura perché in realtà la Sandrelli ha conservato negli anni proprio quel mood leggero e accogliente che l’ha resa così seducente, Stefania Sandrelli non seduce solo per il suo corpo ma seduce soprattutto per la sua attitude, per il suo approccio semplice e aperto alle cose del mondo e Celesta Dalla Porta, anche se non ha la stessa leggerezza, riesce a rimanere aperta alle cose del mondo, con una profondità malinconica e imperiosa allo stesso tempo. Parthenope è una donna che si muove, letteralmente. La scena in cui pagaia sul mare di Napoli è l’emblema di questo personaggio. Attraversa la vita, sua e quella degli altri, con un passo lento ma deciso, è padrona del suo corpo così quanto delle sua testa e delle sue scelte: Parthenope non è solo la seduttrice o la sedotta è anche ( e per me soprattutto) una donna che si mette in gioco con i suoi talenti, che cambia strada senza aver paura, che non si sottomette alle frustrazioni dei suoi genitori, che non muore con loro, che studia, che lavora, che non diventa madre di sangue ma madre di intelletto, che va via ma che torna e quando torna, senza giudizio, accetta le cose per quelle che sono.
Forse in pochi lo hanno pensato, ma per me Parthenope è un film più yogico che sensuale.
Simona Irene Simone