Il pareggio tra Bari e Reggiana non è stato solo una partita sbagliata: è stato un vero e proprio suicidio calcistico, un crollo che evoca immagini di una tragedia teatrale. Essere in vantaggio di due reti e poi dilapidare tutto, in un finale grottesco che ha dell’incredibile, è qualcosa che va oltre l’errore, oltre la svista tecnica. Questo Bari ha toccato, nella sua incapacità di gestire il vantaggio, un lato oscuro che si riflette anche nella filosofia e nella letteratura.
Penso al concetto di “passività autodistruttiva” teorizzato dal filosofo norvegese Peter Wessel Zapffe, poco noto ai più. Zapffe sosteneva che l’uomo è, per sua natura, costretto a riempire il vuoto esistenziale con illusioni e azioni che, in fondo, lo portano alla rovina. Così è accaduto al Bari: in vantaggio, con la possibilità di gestire e consolidare il risultato, i biancorossi hanno scelto inconsciamente la strada più pericolosa, quella dell’autosabotaggio. Proprio come per Zapffe, il Bari sembra incapace di mantenere una lucidità strategica, cadendo in un limbo di errori che si ripetono ciclicamente, quasi inevitabilmente.
E ancora, viene in mente il concetto di “ostinazione irrazionale” di cui scriveva Carlo Michelstaedter, filosofo e scrittore italiano morto giovanissimo. Michelstaedter parla di come le persone tendano a rifugiarsi in abitudini e comportamenti che, alla fine, li porteranno alla sconfitta. Il Bari, paradossalmente, sembra proprio questo: una squadra che si auto-sabota, che rifiuta ostinatamente di imparare dai propri errori. Non è la prima volta che il Bari viene rimontato. Non è la seconda. Il fatto che accada sistematicamente, addirittura con un vantaggio di due reti, grida vendetta. Non ci si può accontentare di scivolare indietro dopo aver toccato la vetta, come Sisifo condannato a veder rotolare il masso giù dalla collina.
La Reggiana, in crisi di gioco e di risultati, avrebbe dovuto rappresentare un’occasione d’oro per il Bari, un’opportunità di riscatto. E invece, i pugliesi hanno scelto la via della “crocerossina”, risollevando gli avversari dal loro torpore agonistico e facendoli rinascere in modo quasi miracoloso. E, ironicamente, come in una sorta di paradosso karmico, chi era arrivato per vincere se ne torna a casa solo con un pugno di mosche. La Reggiana, lungo la sua via Emilia, avrà molto su cui riflettere, ma una cosa è certa: ha lasciato Bari rivitalizzata, risollevata da una prestazione che i biancorossi hanno inspiegabilmente regalato.
Il Bari di oggi è lontano parente di quello intravisto a inizio stagione, una squadra che, pur con delle difficoltà, mostrava coraggio e determinazione. Ora, invece, manca aggressività, lucidità tattica e personalità. Gli errori tecnici e mentali si sommano, come si è visto sul pasticcio clamoroso tra Vicari e Radunovic, che ha regalato alla Reggiana il rigore del pareggio. E non è solo un problema di tattica: si percepisce un vuoto di convinzione, una passività che contrasta in modo stridente con l’esperienza di alcuni giocatori, come Maiello e Vicari, e con la qualità che la squadra, almeno sulla carta, potrebbe esprimere.
I cambi di Longo, azzeccati in parte, hanno mostrato che il Bari sa costruire gioco e arrivare al gol, ma la mancanza di concretezza e tenacia nel mantenere il risultato è uno spettro che sembra perseguitare la squadra. Inutile guardare alle sole carenze tecniche: sembra esserci qualcosa di più profondo, un disagio che non si risolve, una mancanza di identità e di fiducia.
Questo è l’ottavo pareggio, il sesto consecutivo. Un campionato che sembra perennemente in attesa di spiccare il volo, come un aereo sulla pista di decollo, bloccato da una torre di controllo che non dà il via libera. L’imbattibilità va bene fino a un certo punto ma poi occorre dare lo slancio. E il rischio di un ennesimo anno angosciante, trascorso in bilico sui bassifondi, diventa sempre più concreto. In un campionato in cui pareggiare troppe volte può significare l’oblio, il Bari sembra incapace di dare lo slancio decisivo, di risvegliarsi da un torpore pericoloso.
Un plauso ai tifosi, che hanno sostenuto la squadra per cento minuti, con passione e pazienza, fischiando solo a tratti e giustamente al termine. Ma resta una domanda amara: il Bari merita davvero un sostegno così incondizionato? Non basta l’amore incondizionato di una tifoseria fedele se manca la scintilla, se manca il cuore. E forse, è il momento per i giocatori e per la società di svegliarsi. La pazienza ha un limite, e questo suicidio calcistico non può passare come l’ennesimo incidente di percorso.
Massimo Longo