“L’importanza di chiamarsi Ernesto”, scritta nel 1894 da Oscar Wilde, ha inaugurato la Stagione “Altri Mondi 2024.25” del Comune di Bari al Teatro Piccinni nella versione con la regia di Maurizio Sarubbi.
Questo piccolo capolavoro della commediografia satirica, all’apparenza leggero e giocoso, è altamente provocatorio e carico di allusioni ed inquietudini. La società vittoriana è messa elegantemente alla berlina. I personaggi catturati nella medesima ombra di ipocrisia, sono paradossali e tirati fino all’estremo, da diventare quasi caricature di sé stessi. Tutta l’opera sembra costruita come un puzzle, in cui sono gli eventi a doversi incastrare.
Wilde strenuo nemico delle convenzioni, rifiuta qualsiasi costrizione e combatte con impeto la rigida moralità della società vittoriana, che attribuiva grande importanza alle apparenze. Egli stesso, animo irrequieto e controcorrente, sfrontato, ma acuto, non teme di mostrarsi così com’è. Un’icona di stile. Un dandy che gira con capelli lunghi ed abiti eccentrici.
Il suo umorismo è provocatorio e paradossale, pieno di “nonsense” e giochi di parole. L’intera commedia è una satira incentrata sul nome Ernest, che in inglese foneticamente si avvicina alla parola “earnest” ad indicare persona sincera ed affidabile, ma questa paronimia, considerata appositamente nella stesura dall’autore, nella traduzione italiana non viene fuori. Il titolo stesso dell’opera è un controsenso e nasconde un inganno, in quanto nessuno è onesto, né veramente Ernest.
Nell’edizione barese, all’apertura del sipario un unico ambiente la fa da padrone. La luminosità elevata crea un’atmosfera gioiosa e la scena si giova di elementi ben distribuiti, sebbene non rispondenti all’epoca in questione. I due protagonisti sono due amici di vecchia data. Algernon è un signore gioviale che vive in città in uno splendido appartamento e ha una bellissima cugina di nome Gwendolen. Jack, vive in campagna con Cecily, un’amabile giovinetta della quale è tutore e con l’istitutrice Miss Prism, anche sua governante. Non conosce le sue radici, ancora in fasce viene trovato all’interno di un borsone, alla Stazione Victoria e poi adottato da Mr. Cardew.
Sebbene molto diversi per indole e origine, i due sembrano legati da un filo che li accomuna. Bramosi di libertà, conducono una doppia vita, fatta di frivolezze e divertimento. Per potersi allontanare dalle proprie case quando meglio credono ed evitare di ottemperare a impegni e responsabilità, usano un espediente. Algernon finge di avere un vecchio amico malato che vive in campagna, mentre Jack inventa l’esistenza di Ernest, un fratello dissennato e spendaccione che è costretto a raggiungere in città, per rimediare alle sue bravate. Jack, che ambisce a fare un buon matrimonio, comunica ad Algernon di voler chiedere la mano di Gwendolen e la ragazza lusingata accetta perché il nome Ernest, le ha sempre ispirato fiducia. Egli pensa candidamente di risolvere facilmente il problema, facendosi ribattezzare Ernest, ma quando la temibile Lady Bracknell madre di Gwendolen, scopre che è un orfano, nega il consenso. Intanto Algernon fingendosi Ernest, il fratello scapestrato di Jack, raggiunge la tenuta di campagna e conquista Cecily, che da ingenua romantica, facilmente cade nelle sue braccia. Anche lei ha sempre desiderato fidanzarsi con un uomo Ernest/earnest! Gwendolen e Cecily scoprono di essere innamorate entrambe di uomo chiamato Ernest e temono che si tratti della stessa persona. Jack e Algernon sono così costretti a confessare l’inganno, ma sono altresì disponibili entrambi a farsi ribattezzare con il nuovo nome.
Qui la pièce si fa sempre più brillante, perché Wilde riesce a rendere sempre più simpaticamente paradossali i protagonisti, mentre cercano di districarsi nella vicenda, come se stessero sgrovigliando lana caprina, per poi farli giungere solo alla fine, attraverso altrettanti sgrovigliamenti, ad una soluzione “buona” per tutti. L’opera è un capolavoro che ha lasciato il segno, perché mai nessuno prima, in quel determinato periodo storico, aveva osato contravvenire alle malsane consuetudini di una società bigotta, fondata principalmente sul proprio tornaconto e su infondati principi di moralità. Wilde, con incommensurabile coraggio, subendo in prima persona questo abuso, sfida la massa borghese della quale egli stesso fa parte, ponendosi con impeto a sostegno della libertà dell’individuo.
In realtà, per Wilde la letteratura diventa un mezzo di trasgressione che con coraggio usa per denunciare ogni cosa della sua epoca, spesso composta da individui arroganti e perbenisti, che subordinavano tutto al danaro e al matrimonio. Schiavi di una modalità predefinita, il loro prioritario pensiero era crearsi una serie di prospettive economicamente e socialmente interessanti per assicurarsi il futuro. Nelle famiglie borghesi, l’etichetta imponeva una vita morigerata non turbata dalle passioni, e per gli uomini non era considerato scandaloso cedere alle tentazioni, bastava soltanto con accortezza e astuzia, non dare nell’occhio. La posizione sociale e la ricchezza contavano più dell’amore e il matrimonio di conseguenza era una mera questione di affari. Quello che resta sconcertante ai giorni nostri è la naturalezza con la quale si consegnava la propria vita mutilandola, ad un altro non per scelta, ma per imposizione e questo non era un’eccezione, ma una consuetudine alla quale nessuno osava contravvenire.
Lady Bracknell è l’intramontabile Nietta Tempesta, sulla scena trascinatrice e carismatica. Interpreta divinamente il suo ruolo comprimario, sprigionando un’espressività potente che conquista il pubblico. E’ affiancata in maniera puntuale ed applaudita da interpreti che ben dimostrano di aver catturato l’essenza di ogni singolo personaggio, attraverso l’uso del paradosso essenziale nella trama: Daniel Torre (l’empatico Jack, non sempre a suo agio nella società aristocratica, si vuol far ribattezzare per amore), Maurizio De Vivo (l’edonista Algernon, subdolo e falsamente caritatevole), Caterina Rubini (la candida Cecily, abbracciata dalla natura, scrive trasognante lettere d’amore prima di conoscere il fidanzato), Silvia Cuccovillo (la raffinata Gwendolen, egocentrica e simpaticamente capricciosa sceglie il suo amato da un nome), Susi Rutigliano (la stralunata Miss Prism che smarrisce un bambino perché non distingue un passeggino da un borsone ), Maurizio Sarubbi (il reverendo Chasuble poco reverendo, sarebbe stato piuttosto l’uomo giusto per Miss Prism). Nella rappresentazione è mancata l’attenzione al dettaglio per quanto attiene costumi ed arredi, non rispondenti all’epoca narrata, mentre, a mio parere, la collocazione storica era imprescindibile, ma l’interpretazione, anche se a tratti fluiva più lentamente, ha restituito al pubblico freschezza e briosità, grazie certamente alla regia di Sarubbi e a ciascun attore, tutti intenti a delineare con bravura e precisione i ruoli, nella mission, perfettamente realizzata, di far divertire e, soprattutto, di far riflettere.
“L’abitudine è il più spietato dei veleni perché entra in noi lentamente, silenziosamente, cresce a poco a poco nutrendosi della nostra inconsapevolezza, e quando scopriamo di averla addosso ogni fibra di noi s’è adeguata, ogni gesto s’è condizionato, non esiste medicina che possa guarirci.” (Oriana Fallaci)
Cecilia Ranieri
Foto di Cecilia Ranieri