Il filo rosso dell’amore per il Brasile ed il suo popolo ha unito i film della VI edizione del “Bari Brasil Film Fest”

L’Associazione Culturale Abaporu ha organizzato per la sesta volta un’interessante rassegna su diversi aspetti del cinema brasiliano con uno vista attenta ad alcuni temi civili di grande interesse. La 6^ edizione del Bari Brasil Film Fest ci ha, infatti, regalato uno sguardo, breve ma intenso, sulla cinematografia brasiliana con film di grande interesse. Le opere presentate hanno spaziato dai temi più intimi, come il rapporto con la madre, a quelli più generali, ovvero dei diritti civili e della schiavitù, passando per il diritto di gestione del proprio corpo.

“Doutor Gama” di Jeferson De racconta la vita dello scrittore, avvocato e giornalista Luiz Gama, promotore dell’abolizione della schiavitù in Brasile e primo legale nero nel Paese. Il tema è di grande interesse, non solo storico vista le nuove schiavitù. La vita drammatica e avventurosa di Gama, bambino venduto come schiavo, schiavo e poi da uomo libero e battagliero, hanno consentito al regista di spaziare su diversi pani narrativi. Non viene però raggiunta una vera drammaticità emotiva, quasi che avesse paura di spaventare lo spettatore. La provenienza televisiva del regista viene trasposta nelle immagini del lungometraggio che, francamente, sembra più il riassunto di una serie che un’opera autonoma. La vita e le vicende di Luís Gama hanno la necessità di tempi molto più lunghi dei 90 minuti del film. Pur nella scelta stilistica di non spettacolarizzare il dolore e la schiavitù, assolutamente lodevole, non si può ignorare le esigenze spettacolari di un prodotto “da sale” che non è un documentario. L’insieme tecnicamente non convince pur nella cornice di un impegno civile di spessore.

Perola” di Maurilo Benicio, ispirato all’omonimo testo teatrale di Mauro Rasi, ripercorre il ricordo della madre attraverso lo sguardo del figlio, che ritorna alla piccola città di Bauru per il funerale. La scelta di regia è stata quella di rivivere la figura materna attraverso i ricordi del figlio e quindi la possibilità di non seguire in maniera pianeggiante i filo della memoria. Una figura senza ombre, una donna volitiva e allegra che anche di fronte alle avversità riesce a brindare con pezzo di lime, cachaça, zucchero di canna e ghiaccio. Caipirinha non solo come bevanda ma come stile di vita fresca leggera bevibile tutto l’anno in un paese vicino all’equatore. L’opera si fonda, come dice il titolo, sulla centralità della figura femminile di Perola magnificamente interpretata da Drica Moraes che porta sullo schermo con grande intensità una donna che riesce a misurarsi con gli eventi e con sé stessa senza mai mostrare agli altri i drammi e i fantasmi che l’agitano. Solo, e sola, davanti allo specchio vive senza schermo e vedersi com’è. L’intuizione registica, Maurilo Benicio, di girare sequenze di grande intensità, con flash sui particolari del viso e delle espressioni di Perola, è di sicuro effetto filmico. Un film molto godibile che purtroppo non vedremo nelle sale.

Levante” di Lillah Halla, racconta la vicenda della giovane Sofia, pallavolista diciassettenne, in piena ascesa, che vuole interrompere una gravidanza indesiderata in un paese, come il Brasile, dove l’aborto non è legalizzato e dove il piano B è ricorrere all’aborto illegale, con tutte le conseguenze e i rischi che questo comporta. Una piccola Maradona che cerca di trovare nello sport il riscatto per una vita che, senza lo sport, forse non troverebbe sbocchi. Partendo da un gruppo di eterogenee e squinternate ragazze senza un soldo in tasca, in un quartiere disagiato, la regista, Lillah Halla disegna un personaggio non scolpito con gli strumenti per sagomare il marmo ma disegnato con il pennello. Colori vivaci, tratto pittorico intenso senza mai diventare greve. La capacità di casting e la scelta delle figure rappresenta, forse, la parte più riuscita del film, senza dimenticare il racconto sociale e civile della gestione del corpo La regista riesce, nel pur difficile compito, di tenere insieme le due anime del lungometraggio. Da un lato la maturazione di Levate con la presa di coscienza di sé e il passaggio, definitivo, dall’adolescenza all’età adulta e dall’altro la sua scelta di abortire con le difficoltà che una donna, con pochi mezzi, trova nel Brasile dei nostri giorni.

Ayomi Domenica Dias interpreta la figura di Sofia, personaggio cardine della pellicola, ma non sfigurano anche gli altri interpreti (di cui purtroppo non sono riuscito a trovare traccia nemmeno su internet) dall’amica-compagna al padre. Le due figure che in qualche modo contornano Sofia e, sia pure con difficoltà (almeno il padre) l’accompagnano nell’avventura che cambierà la sua vita. La scelta poi di individuare nell’infermiera evangelica pentecostale (non cattolica come erroneamente riportato in molti commenti) la rappresentazione dell’integralismo religioso e persecutorio non sembra casuale. È da coloro che dovrebbero tutelarla, consultorio e cura della salute, che la coraggiosa Sofia dovrà difendersi. Ci sono volute ben sette anno per girarlo anche per l’ostracismo del potere politico brasiliano. Un film ben girato e che, purtroppo anche lui, non finirà in nessuna sala e, temo, in nessuna piattaforma.

Marco Preverin

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