Franco Arminio e Guidalberto Bormolini intessono un canto a due voci alternate in questo “Accorgersi di essere vivi – Un breviario per chi ha perso la via“, libro pubblicato lo scorso agosto per i tipi della casa editrice Ponte delle Grazie.
Un paesologo e un liutaio, un poeta e un sacerdote, usano la parola per riportare alla sua vocazione la poesia, quella di creare, produrre, rendere conto dell’incarnazione concreta della realtà in cui ciascuno si trova a vivere: non a pensare, non a fantasticare, non a stare in una sospensione, ma a vivere, a camminare, a prendere, a toccare, a fare, ad agire nel reale.
Nelle pagine di questo libro viene affrontato con risolutiva intenzione il tema oggi d’attualità della solitudine. Arminio e Bormolini chiamano in causa le cose del mondo come il limite, l’avventura, intesa come ciò che avviene, ma anche il mangiare, il cielo con le stelle, la materia, la morte, i verbi che muovono la costruzione e la ricostruzione. Si vedono attraversamenti di strade e case, si parla di respiro, di teorie scientifiche che spiegano l’origine del mondo e del perché sta in piedi, di come sussiste e di come noi sussistiamo in esso.
Accorgersi ovvero ascoltare il cuore, il proprio e quello di chi come noi popola questi giorni.
Accorgersi presuppone di dover sistemare il suono dei nostri pensieri, della nostra vita ,perché CON-SUONI armonicamente con tutto il resto che abita insieme il tempo, lo spazio in cui ci è dato di vivere.
Accorgersi è ascoltare e guardarsi dentro e intorno.
La chiave la consegna lo stesso Arminio nella prefazione, dove identifica la questione per cui non ci si può riconnettere se si rimane “animali spaventati, incapaci di affidarci e di credere” Bormolini alla prima occasione, dopo poche pagine, chiama in causa i fisici e il Big Bang e la spiegazione dell’universo secondo la teoria delle stringhe. Il suono, l’armonia, in sostanza la musica rende l’immagine e descrive l’universo e il perché esiste: Big Bang /Big Song. Disserra le stanze dei segreti di una vita felice semplicemente riportando alla consonanza, alla carnalità di un abbraccio, alla relazione.
E la spiegazione del vivere è ancora più semplice e raccontata da Arminio, e sta nel respiro.
C’è un solo respiro. L’aria che respiriamo è una sola per tutti. Ciascuno la assume, la rimaneggia dentro di se e poi la espelle. E gli alberi la rimaneggiano a loro volta e la rimandano fuori, perché quell’ossigeno entri in altre narici e gonfi altri polmoni e produca vita, canto, idee, parole, calore umano. Vista da lontano la Terra è un unità indistinta, così come l’Universo.
Bormolini e Arminio riportano in versi e in prosa a realizzare che Accorgersi di essere vivi vuol dire sàpere, gustare, assaporare, interiorizzare che siamo già nell’uno indistinguibile e che la solidarietà è lo stato in cui già siamo. Opporsi a questo stato vuol dire negare la vita stessa, e dunque, condannarsi a un torpore esistenziale, che porta ciascuno a non vivere, a non avvertirsi più corpo, a non percepire più attraverso i sensi, a non essere.
138 pagine, più indice e una sequela di pagine bianche ancora da scrivere. Questo libro, sottotitolo “Un breviario per chi ha perso la via”, riporta a guardare il vicolo cieco in cui spesso ci si trova, a ripensarlo, a rivalutare il limite, a pensare il confine come inizio degli incontri, dello scambio, occasione per riscoprirsi parte di un’armonia corale necessaria, perché connaturata al vivere stesso. Nell’epoca in cui la solitudine è subita, ed è diventata patologia e condanna, non più opportunità di incontro con se stessi, Arminio e Bormolini provano a rimetterla come valore prodromico alla condivisione, all’autentica, necessaria, umana solidarietà.
Alma Tigre