Chi lotta per i diritti parla dal futuro. Questo vale perché i diritti non sono mai una progressione indefinita verso uno stato di minori prerogative, o un galleggiamento su uno status quo inattaccabile, ma un equilibrio omeostatico continuo che non si mantiene da ferme, e la cui tenuta giuridica ha per sua natura una ridotta velocità di adattamento alla società. I diritti inciampano, vengono cancellati. Le disuguaglianze si nutrono della mancanza di diritti, che come diceva Gino Strada, se non sono per tutti, si chiamano privilegi.
BIG – Bari International Gender festival è il festival di cinema e arti performative su differenze di genere, identità ed orientamenti sessuali della città di Bari, è nato nel 2015. Da essere il festival di riferimento delle culture e delle arti queer a Bari, è diventato un appuntamento lungo un mese, che con un’ottica intersezionale osserva la realtà e ne immagina una possibile, contro ogni colonialismo e visione eterodiretta. Quest’anno giunge alla sua decima edizione, diventando perciò BiGX. Il festival, codiretto da Tita Tummillo e Miki Gorizia, è promosso e organizzato dalla Cooperativa sociale AL.I.C.E. (Area Arti Espressive), sostenuto dal FUS (Fondo Unico per lo Spettacolo), Regione Puglia, PACT Puglia Culture a valere sul Fondo Speciale Cultura e Patrimonio Culturale L.R. 40/2016 art. 15 comma 3, Puglia Culture, Comune di Bari, dall’Ufficio Tecnico – Tavolo Tecnico LGBTQI del Comune di Bari, oltreché con la collaborazione con decine di interlocutori artistici, istituzionali e non solo. Il programma è al solito pieno e foriero di una frontiera unica in città, e di pari dignità con le capitali europee, un appuntamento cui sono dichiaratamente affezionata.
Il primo, imperdibile, spettacolo, che ho potuto seguire è stato quello di una delle colonne delle rivendicazioni delle soggettività trans: Nicole De Leo, storica attivista di origine barese, figura di riferimento della scena artistica LGBTQIA+ e vicepresidente del MIT, Movimento Identità Trans, la più importante realtà d’area a livello nazionale.
Tra le performance più recenti di De Leo al cinema, la soave pellicola “Le favolose” e il ruolo obliquo in “Mi fanno male i capelli”, entrambi a regia di Roberta Torre.
MIT cura anche questo spettacolo del BiG, col semplice nome “Manifesto”, con la consulenza e collaborazione artistica di Ariase Barretta.
La responsabilità di De Leo nella testimonianza storica di attivismo si lega allo studio di un’altra figura di riferimento mondiale: Pedro Lemebel, di nazionalità cilena, nato nel 1952 e morto nel 2015. De Leo sale sul palco con un costume che richiama quello più popolare di Lemebel, un copricapo di piume rosse, in particolare quello di De Leo non ha mancato di rivendicare il suo ruolo da comprimario durante la performance. Un aspetto da novella Papagena mozartiana, di piume, lustrini, tacchi alti e calze velate, con cui l’attrice improvvisa la prova di uno spettacolo su Lemebel, leggendo alcuni dei suoi scritti più significativi, mentre sullo sfondo scorrono le immagini di Lemebel nelle sue performance più celebri.
Non vi è alcuna traccia di pelosa autocommiserazione, nelle parole di Lemebel e nell’interpretazione di De Leo, mentre uno alla volta i temi vengono sbattuti in faccia al pubblico. Dalla realtà di violenza delle e dei sex workers di Santiago del Cile, alle estreme discriminazioni del piccolo Margarito, i cui occhioni umidi ho ancora infissi nella coscienza, alle storie di amicizia e di amore, fino al più intenso e contemporaneo dei suoi scritti, “Un uovo non è un pollo”, un testo di rivendicazione del diritto all’aborto libero e gratuito anche e soprattutto per le donne povere. Qui De Leo urla di rabbia contro l’assurdità e la contraddizione di un mondo che costringe chi è povera a non accedere all’aborto. Il testo sembra sapere che oggi in Italia ci troviamo di fronte al pericolo concreto che la legge 194 venga resa inapplicabile per il ricorso massivo dei medici, nella generale spoliazione delle strutture sanitarie pubbliche, all’obiezione di coscienza e per l’ingresso di attivisti di associazioni pro-vita nei reparti di pianificazione famigliare, senza alcuna competenza.
L’ultimo scritto, il suo “Manifesto”, viene declamato mentre il proiettore manda le immagini del funerale di Lemebel. De Leo, e il suo corpo politico, sul finale, non ha bisogno di costumarsi, o di essere altro che sé.
Beatrice Zippo
Foto dal sito del BiG festival