“Le canzoni di Ludwig” presentato dalla Camerata Musicale Barese al Teatro Kursaal Santalucia è stato un evento sia musicale che teatrale, a partire dalla location d’eccezione, un teatro nel centro di Bari e a pochi passi dal mare, progettato e realizzato in puro stile Art Decò nel 1924 da Orazio Santalucia, la cui magnificenza è dettata dagli ambienti eleganti e ricercati, decorati con affreschi e stucchi.
A contrasto un palcoscenico tutto nero, una scenografia scarna ed essenziale, gli strumenti musicali, il leggio, le sedie ed un tavolo con un panno rosso. Tutto qui, ma è bastato per emozionare e per avvicinarsi a Beethoven, alla sua vita di sofferenze e patimenti.
Quello della Camerata può annoverarsi come un irrinunciabile appuntamento con la musica da camera, un omaggio al genio compositivo di Ludwig Van Beethoven dell’ensemble “Umberto Giordano”, la formazione cameristica, in trio per questa occasione, con Dino del Palma al violino, Luciano Tarantino al violoncello e Gianna Fratta al pianoforte. Ad arricchire lo spettacolo le voci del soprano Marija Jelić e del baritono Cüneyt Ünsal, due cantanti lirici dalla carriera internazionale.
Interprete di questo incredibile percorso sonoro è l’attore Giampiero Mancini, attore e regista poliedrico, di spettacoli teatrali e musicali, di fiction e serie tv, che qui interpreta il nipote di Beethoven che parla al compositore, ormai defunto, attraverso una serie di lettere.
L’esibizione parte da un Beethoven meno conosciuto e dalle sue “canzoni”, brani ironici e giocosi scritti su commissione e arrangiati in varie lingue. Sono composizioni che mostrano un Beethoven diverso dalla sua solita immagine cupa ed austera. Accanto a questi piccoli capolavori, lo spettacolo offrirà anche brani più celebri del compositore tedesco, nato a Bonn nel 1770. La sua infanzia non fu affatto felice, il padre era alcolista e violento; in età adulta ebbe una serie di amori infelici e disperati poi la progressiva sordità e l’abbandono dell’attività concertistica. Beethoven compose le sue opere più importanti ormai in preda di una quasi completa sordità. Si spegne a Vienna, nel 1827.
Suo nipote, nella sua orazione funebre pronunciò queste parole: “Chi verrà dopo di lui non dovrà continuare ma ricominciare perché nessuno può reggere al suo confronto”. “La sua vita interiore è stata dedicata all’arte, esprimeva le proprie passioni attraverso la sua arte; non era interessato agli onori ma alla tenerezza, il modo in cui avvicinava le donne era di una purezza virginale e così fece con Teresa Malfatti” che disse di lui: “E’ un musicista, mezzo matto, di quarant’anni!” mentre struggenti erano le lettere che Beethoven le scriveva per poi dedicarle la breve e famosissima composizione “Per Teresa” (Fur Therese) meglio nota come “Per Elisa” poiché erroneamente trascritta da un copista. Il compositore tedesco fu rifiutato anche da altre donne. Fu il caso di Giulia Guicciardi che preferì andare in sposa ad un nobile ricco e facoltoso. Beethoven si sentiva solo, randagio, in questa condizione di schiavo desideroso di amore; fu la sofferenza legata al rifiuto di Giulia che lo portò a comporre “Al chiaro di luna”, una sonata per pianoforte.
Il pubblico, ascoltando l’esecuzione dell’ensemble “Umberto Giordano” ha dei sussulti, il cuore sembra sospinto sulle note eseguite da questo trio, davanti alla cui musica, nel teatro, qualsiasi cosa scompare.
Giampiero Mancini è un attore di grande esperienza, la sua voce è profonda e ben impostata, interprete autentico e senza fronzoli. Tra gli ultimi aneddoti quello dedicato alla grande sinfonia n.9 che Beethoven scrisse, ormai sordo, ascoltandola solo con la sua fantasia nella sua testa. “Alla prima a Vienna vendetti i biglietti al triplo del loro costo per gozzovigliare con gli amici. Andai via, dalla sordida bettola, a metà di un importuno festino per arrivare a teatro a piangere con le sue ultime note. Mai nessuno aveva osato tanto, il tempo di vederlo ancora esausto, attonito di fronte all’orchestra e al coro. Lui era di spalle al pubblico, non comprendeva. Il visibilio, il delirio del pubblico. Sentiva l’estasi fino a quando il soprano lo voltò verso di esso e il sommo Beethoven sorrise.”
Beethoven non era un misantropo scapigliato, non era la bestia intrattabile dei vicini, non era ostile, senza cuore, scontroso e ingiusto. Lui aveva deciso di dedicare se stesso all’arte della musica, di vivere per e nella gioia della musica.
“L’inno alla gioia, un uomo malato, sordo e solo che compone il più grande inno e la più alta lode alla gioia. Beethoven è davanti a noi, a tutti noi, non solo come più alto genio musicale ma come sfida per la ulteriore crescita dell’umanità, simbolo dell’eterno rifiuto dell’uomo del pensare negativo nei confronti della vita, del meschino attaccamento alle piccole ambizioni del limitato egoismo. L’inno alla gioia, nonostante le afflizioni, la solitudine, il dolore, le delusioni”.
Vincenza Amato
Foto di Vincenza Amato