Credere nella vita dopo l’amore e dopo l’odio: ecco l’insegnamento di “Premonition” di Giorgia Ohanesian Nardin e di “Batty Bwoy” di Harald Beharie inserite nel BIGX

Due performance che danno forza, speranza. Due performance che stravolgono le narrazioni del femminile e del queer. Due danze che portano il pubblico da un punto all’altro, imprimendo accelerazione allo stato di crisi esistenziale che ci precede e ci sopravvive, per renderci ancora più consapevoli, con ancora più desiderio di esprimere le nostre peculiarità e differenze.

Il BiG – Bari International Gender festival è il mese di cinema e arti performative su differenze di genere, identità ed orientamenti sessuali della città di Bari. Giunto alla sua decima edizione, il festival esprime sempre novità e freschezza nelle performance che offre a un pubblico che sa di trovarci cose completamente diverse da tutto ciò che si può trovare in giro, non dimenticando mai, nel concetto sulla base del quale il festival è curato, la rivendicazione del corpo politico e dei diritti civili e sociali che da esso e su esso discendono. Il programma, codiretto da Tita Tummillo e Miki Gorizia, è promosso e organizzato dalla Cooperativa sociale AL.I.C.E. (Area Arti Espressive), sostenuto dal FUS (Fondo Unico per lo Spettacolo), Regione Puglia, PACT Puglia Culture a valere sul Fondo Speciale Cultura e Patrimonio Culturale L.R. 40/2016 art. 15 comma 3, Puglia Culture, Comune di Bari, dall’Ufficio Tecnico – Tavolo Tecnico LGBTQI del Comune di Bari, oltreché con la collaborazione con decine di interlocutori artistici, istituzionali e non solo.

Il weekend scorso è stata la volta della performance di Giorgia Ohanesian Nardin a Spazio Murat, dal titolo “Premonition”, in uno Spazio Murat reso luogo etereo, al lato dell’installazione artistica “Democracia – Enjoy the Collapse”, sempre afferente al BiG, chiusa ieri. Lo spettacolo vede la stessa Ohanesian Nardin, artista di discendenza armena, in scena, con il suono di F. De Isabella, un pattern di suoni urbani stratificato dalle varie esibizioni, che crea una specie di nuova città, un esercizio simile a quello fatto da Jonathan Glazer per “La Zona di Interesse”. La performer esce, affronta una vestizione di paramenti che la rendono a metà odalisca, a metà musa fetish, e rileva, con un registratore, anche il nostro suono. Dopodiché inizia a danzare, agitando le monetine dei suoi paramenti, mentre i suoni che l’hanno preceduta vengono elaborati in loop e formano la base della coreografia, intervallata da declamazioni, scritte dalla stessa performer. Un lavoro assieme intimista e integrato al mondo circostante, di grande forza, nascita e rinascita, con al centro la canzone miliare di Cher “Believe”, che ci chiede se crediamo alla vita dopo l’amore (e un verso del ritornello fa capolino, tatuato sul costato di Ohanesian Nardin). La performer, finalmente libera dai paramenti, si dedica alla lettura dei suoi tratti più fragranti, infrangendo la visione moderna e narcisistica della poesia, pur conservandone la visione prismatica sulle questioni del mondo.

L’altra performance del weekend è stata “Batty Bwoy” del coreografo norvegese di origine giamaicana Harald Beharie, nello spazio abnorme del Palamartino, illuminato, com’è di suo uso, per un match sportivo. La performance ha vinto il Premio Hedda come migliore performance di Danza nel 2023 e ha ottenuto una nomination per il Norwegian Critics Association Prize 2022, laddove lo spettacolo gode del supporto di Norwegian Art council, Fond for lyd og bilde, FFUK, Sandnes Kommune and Tou Scene. Sul pavimento illuminato dalla luce livida del palazzetto, Beharie giace vestito solo di una parrucca, un paio di scarpe da trekking, ginocchiere e una parrucca con treccine lunghissime, con cui lava un pavimento su cui ha sputato dell’acqua che ha appena bevuto. La prima parte della coreografia prostra Beharie a un pubblico su cui rimbalza tutto il ludibrio del mondo, che ha attraversato il suo corpo come se fosse un nastro biografico danzato. Piano piano la coreografia prende aria, respiro, la narrazione del corpo queer e black è scomposta e riavviata, lasciando stereotipi e convenzioni sul pavimento del Palamartino insieme alla parrucca e volgendo lo sguardo, il corpo e il futuro verso un sentimento misto tra rabbia, fiducia e liberazione, sfidando con la danza e con la mimica il pubblico e quella grassa bugia che chiamiamo morale. Anche la musica, potentissima, composta appositamente per lo spettacolo, ricalca il corpo di Beharie, da suggestioni speed metal, a sentori di sinfonica, passando per elettronica e ritmiche rap.

Beatrice Zippo
Photo credit Fabiano Lauciello

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