Quello andato in scena al Palaflorio di Bari non è stato un concerto. O, meglio, non è stato solo un concerto.
Quello che si è vissuto è stato un vero e proprio salto nel passato, nei ricordi.
Sul palco del palazzetto dominano i Blue, la band britannica che nei primi anni 2000 era appiccicata alle prime posizioni delle classifiche musicali mondiali così come alle porte e pareti di casa degli adolescenti dell’epoca. Energia, tecnica, ballo, canto, vibrazioni, melodie, coreografie, seconde voci a mo’ di gospel e molto altro è quello che si è visto e percepito in poco più di un’ora di esibizione. Pochi smartphone a immortalare le prime due o tre canzoni, danno misura del passaggio temporale nostalgico che si è vissuto in questo concerto; dopo qualche minuto siamo tutti tornati nei nostri anni social.
Salgono sul palco con “All rise” – che conta 144 milioni di visualizzazioni solo su youtube (piattaforma nata 4 anni dopo l’uscita del brano): passeggiata sincronizzata, coreografia in linea, sprigionando tutta la loro “aura”. Abbigliamento sbarazzino ma mai casuale, con contrasti bianco/nero, fa ancora di loro delle icone estetiche che rimarranno nel corso degli anni. Incalzano con brani a raffica, uno dopo l’altro, che ai meno affezionati sembrano sconosciuti, ma dopo poche battute si ritrovano a canticchiare. Poche le pause, se non per ringraziare i presenti e raccontare pezzi della loro vita vissuta in questi anni di assenza con Lee che si dimostra il più comunicativo e – parere personale – anche il più talentuoso dei quattro.
Il tutto si fa intimo e toccante con “Sorry seems to be the hardest word”, mentre sugli schermi scorrono le immagini del videoclip con Elton John, autore del brano, che precede “Signed, sealed, delivered I’m yours” con Stevie Wonder e Angie Stone, giusto per citare qualcuna delle più celebri collaborazioni. La scenografia è semplice, essenziale e si occupa di mettere in luce i quattro mattatori del palcoscenico più che colorare il pubblico, se non con qualche esplosione di coriandoli qui e li.
Antony, Duncan, Lee e Simon sono solo cresciuti di vent’anni e lo schermo alle loro spalle lo ricorda con le immagini dei loro video più famosi, incastrati con le loro foto di famiglia con mogli, compagni, compagne e figli.
L’esibizione si chiude con “A chi mi dice”, il loro successo più apprezzato, almeno nel nostro bel paese, proprio perchè cantato nella nostra lingua. Boato del pubblico tra chi piange, chi canta (me tra questi), chi ride e chi sorride. Smontati gli strumenti, spente le luci e si va tutti a nanna, che all’indomani si va a lavoro e non a scuola.
Chi ha detto che “al passato non bisogna guardare con nostalgia e al futuro con fiducia” non è mai stato ad un concerto come questo e, soprattutto, con questo spirito.
Giuseppe Bonamassa
Foto di Giuseppe Bonamassa