Roberto Saviano e le laceranti ferite di una generazione che devono essere bruciate al fuoco vivo della rivolta per dirsi sanate: “Cuore puro – Favola nera per camorra e pallone”, del prodigioso “Nuovo Teatro Sanità” di Mario Gelardi, conquista il pubblico del Teatro Kismet di Bari

I rigori li sbaglia solo chi ha il coraggio di tirarli.” (Diego Armando Maradona)

“Il teatro è la possibilità di guardare le persone negli occhi, sentirne i respiri, condividere le emozioni. Il teatro è un luogo che oggi ha un sapore di dissidenza, perché ti prendi un’ora di tempo in cui non guardi il telefonino, stai in silenzio, lasci fuori i disastri e fai un’esperienza condivisa. Oggi, quando tutto sembra possibile a distanza, il teatro è uno spazio di vicinanza. Il ‘Nuovo Teatro Sanità’ e Mario Gelardi sono rappresentativi di una Napoli diversa, di quel cambiamento che io sogno da tanto. Qui si lavora seriamente, ogni giorno. Si fa un lavoro culturale continuo e a luci spente. E questo lavoro è l’indice di un cambiamento che può avvenire. Se io potessi scegliere dove stare, vorrei essere qui. Solo loro possono trasformare in corpi, volti e voci le mie parole. Non sono solo resistenza e non sono semplicemente teatro: loro sono il nucleo intorno al quale alla Sanità, a Napoli, si costruisce un presente reale, che si può toccare vedere e ascoltare. Un futuro che si può immaginare. Loro sono voci che sovrastano urla, sono mani tese.” (Roberto Saviano)

Sir William Gerald Golding, scrittore e insegnante britannico, indimenticabile autore de “Il signore delle mosche” insignito del Premio Nobel per la letteratura nel 1983, affermava che “l’infanzia è una malattia, un malanno, da cui si guarisce crescendo”. Purtroppo non è sempre così: a molti bambini, ragazzi, adolescenti, giovani non è concessa alcuna ‘convalescenza’ per la sola maledetta, devastante assenza di una benchè minima opportunità di superare quel confine, di costruire il proprio cammino, di sopravvivere all’orrore, in qualunque forma si presenti ai loro occhi e si stabilizzi nel loro cuore e nelle loro esistenze. Quando Ivano Fossati cantava “ci sono luoghi dove il bisogno di violenza è molto più forte della volontà, ci sono ore in cui il bisogno di violenza è molto più alto della volontà ed è ben altro che bastoni e coltelli, non essere visto e non vedere, essere piombo caduto, fuso sulla terra”, pur apparendomi chiaro il suo intento di fotografare le disgraziate zone belliche del mondo, sempre più di drammatica attualità, non sono mai riuscito a restringere il campo d’azione di quelle parole alle sole terre di guerra, sentendomi quasi obbligato ad allargare l’analisi anche alle nostre stesse città, a quelle aree oscure che ogni ragazzo ed ogni ragazza devono attraversare per dirsi salvi, siano esse reali o psicologiche.

Roberto Saviano vive da sempre in guerra e ne dà testimonianza con la sua stessa vita oltre che con le sue opere; anche il romanzo “Cuore puro” non si discosta dalla mission che l’autore si è imposto, già estrinsecata in “La paranza dei bambini” e, a ben vedere, anche nello stesso “Gomorra”, e come fu per i suoi predecessori, anch’esso è diventato uno spettacolo teatrale, “Cuore puro – Favola nera per camorra e pallone”, nato nel cuore di Napoli, in quel prodigioso “Nuovo Teatro Sanità” dove l’ottimo Mario Gelardi pratica lo splendido gioco del teatro per creare inclusione e prospettive un tempo inimmaginabili per i giovani partenopei a rischio.

Nel degrado di un improbabile campetto di periferia, magnificamente reso dalle scene di Vincenzo Leone e dal disegno luci di Loïc François Hamelin, si dipana la vita di tre ragazzi innamorati del calcio, corpi e menti malati d’istupidita innata ambizione, sognatori di sogni di successo sulla scia dell’adorato Maradona che, invece, finiscono per trasformarsi in incubi di delusioni e freddezza quando, nell’amaro risveglio, si scoprono essere diventati – forse senza scampo – vedette per i loschi traffici di Tonino, piccolo quanto perverso boss di quartiere che, nonostante le resistenze della madre vedova di uno dei tre, disegna con una escalation crudelissima il percorso di spregiudicata perdizione delle tre giovani anime, affascinandole con irrealizzabili illusioni di carriera e finendo per ripagare il mefistofelico acquisto con pochi, maledetti ma facili euro e – questo sì a loro sembra interessare – con la possibilità di ricevere palloni gratis a dismisura. Quando le richieste di Tonino si faranno più gravose, ognuno dei tre giovani dovrà decidere se svincolarsi, magari fuggendo in un’altra città ed abbandonando gli amici al loro destino, o ribellarsi alla loro condizione in un epico gesto rivoluzionario che non potrà non condurre al sacrificio estremo, protagonisti di una storia che sembra paradossale e non lo è, campioni in un gioco che sembra virtuale ed è vita vera, drammatica, agghiacciante, orribile, adolescenti con il loro presente che si fa gioventù disperatamente devastata ed il loro futuro che, negato, si fa speranza inorridita.

Nella parola di Saviano e forse ancor più nella rappresentazione di Gelardi, però, nonostante si indulga su di un futuro fosco, pressante, disturbante, sembra ancora germogliare il seme dell’orgoglio, della estrema possibilità di recuperare, se non la perduta innocente tenerezza dell’adolescente, la dignità dell’uomo che si ribella al suo aguzzino, consapevole che la sua ferita non possa essere medicata, ma debba bensì essere bruciata al fuoco vivo della definitiva rivolta per dirsi profondamente sanata.

Sul palco del Teatro Kismet di Bari, ospiti della Stagione “Attraversamenti” 2024.25 curata da Teresa Ludovico, i cinque straordinari attori, Vito Amato, Emanuele Cangiano e Carlo Di Maro (i tre ragazzi), Francesco Ferrante (Tonino) ed Antonella Romano, hanno disegnato una parabola drammatica pregna di sfumature realistiche, catturando e travolgendo il pubblico in un vortice di emozioni che, anche grazie alle suggestive musiche originali degli immancabili Mokadelic, giungeva sino a togliere il fiato, con le contraddizioni dell’animo umano che sembravano vivere e crescere sulla scena e nei cuori di quei tre giovani cui non si poteva fare a meno di affezionarsi, perfetti nella percezione della vita e della realtà che restituiscono al pubblico, nel loro interpretare le ruote inconsapevoli di un meccanismo pronto ad adoperarli e stritolarli senza pietà, gli agnelli sacrificali invitati ad un pranzo di cui sono la pietanza principale.

Pasquale Attolico

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