L’infelice vita di Deianira in perenne stato di attesa del suo Eracle rivive sul palco dell’Auditorium Vallisa di Bari grazie a Micaela Esdra, protagonista assoluta delle “Trachinie” di Sofocle nella versione della Compagnia Diaghilev con la regia di Walter Pagliaro

L’Auditorium Vallisa di Bari, sempre carica di fascino, è stata il luogo perfetto per rappresentare le “Trachinie” di Sofocle, nella traduzione di Salvatore Nicosia, con la puntuale regia di Walter Pagliaro, coadiuvato nella messa in scena dallo scenografo Gianni Carluccio e dalla costumista Annalisa Di Piero, per la stagione Teatro Studio 2024.25 della Compagnia Diaghilev, che coproduce l’allestimento con l’associazione Gianni Santuccio.

La scena, ambientata a Trachis, è atipicamente incentrata su una donna, Deianira e sulla sua disamina psicologica. Ella rievoca a se stessa la sua vita passata, dal primo incontro con Eracle, che la prenderà in sposa combattendo e vincendo contro il dio fiume Acheloo che la voleva a sé ma che lei aborriva, fino al momento in cui porrà fine alla sua vita. Deianira trascorre una vita infelice in un perenne stato di attesa accompagnato da un forte desiderio di qualcosa che è assente e per questo intensamente logorante, in quanto alla mancanza, più vicina alla perdita, si unisce l’impossibilità di non poter conoscere cosa è accaduto o sta accadendo al suo uomo. In modo ammaliante le corifee, pregano il Sole che tutto vede, di rivelare le sorti di Eracle così da confortare Deianira sempre più inquieta.

Questa condizione atroce, perché lenta e continua, rimanda alla “saudade”, termine difficilmente traducibile, ossia a quel sentimento dalla malinconia trascinante, riconducibile all’indeterminata lontananza da casa dei marinai che andavano per mare e di conseguenza alla pena delle loro donne, che subivano, oltre alla separazione, il tormento per un destino che sarebbe potuto restare ignoto.

Un filo rosso unisce alcuni elementi di scena, quasi a simboleggiare un rivolo di sangue che costantemente scorre nelle trame della tragedia. Un telo di plastica scura ricopre il palcoscenico, a volte è mare, altre terraferma e nasconde abiti insanguinati a indicare le morti avvenute per mano violenta.

Il potente Eracle, il semidio, l’avventuriero parte per le sue imprese per un tempo indecifrabile, poi torna a casa, si unisce alla sua sposa e riparte. Alla sua dodicesima conquista in Ecalia, dopo quindici mesi fa ritorno, ma si fa precedere da alcune prigioniere, tra le quali emerge per bellezza e carisma Iole che, in rigoroso silenzio, appare avvolta da un inquietante velo nuziale nero, come a presagire per sé un fato nefasto. Deianira, informata dall’araldo Lica che Eracle ha sconfitto il re di Ecalia solo perché perdutamente innamorato di sua figlia Iole e che l’ha condotta a casa non di certo per farne una schiava, si dispera senza trovare sollievo. Deianira di tradimenti ne ha subiti tanti, ma l’amore è una forza irresistibile contro la quale combattere equivale a perdere.

Il pathos della tragedia da qui si fa sempre più alto. Eracle è folle d’amore per Iole, completamente soggiogato da un sentimento insopprimibile. L’uomo che tutti vinse, fu vinto dall’amore. Deianira sgomenta cerca improbali soluzioni e ricorda quando fanciulla era stata vinta da Eracle, il quale in un cruento duello contro il centauro Nesso, lo aveva colpito con una freccia avvelenata. Questo, morente, le aveva fatto raccogliere il suo sangue a comporre un filtro erotico atto a riaccendere la passione amorosa e così ella, aggrappandosi all’infausta speranza di riconquistare il suo uomo, vi intinge la tunica e la invia a Eracle come dono, scoprendo però troppo tardi che non avrebbe mai potuto ricevere azione benevola alcuna, da colui che gli aveva causato la morte.

La tunica indossata da Eracle è in realtà intrisa di un potente veleno ustionante che corrodendo le carni, conduce a morte lenta. Deianira, fuori da ogni controllo e ragionevolezza, si dimena e piange lacrime amare fino a che persa in uno stato di profonda frustrazione, si distende sullo stesso talamo che le aveva offerto una parvenza d’amore e si uccide trafiggendosi con la fibula dello spillone, cuore e polmone. Solo ora che Deianira è morta, Eracle entra in scena quasi privo di sensi, su una sedia a rotelle indossando scarponi che paiono grosse zavorre, come forse ad indicare il peso della sofferenza che si oppone con forza alla remota possibilità di ancorarsi in quello stato penoso, alla vita terrena. Contorcendosi, fra urla e il dolore che lo ghermisce, prega il figlio di ucciderlo per porre fine all’atroce supplizio, ma questi gli resiste acconsentendo solo di sposare Iole come ultimo desiderio del padre. Eracle muore, non per mano di un vivente come gli era stato predetto, ma di una donna senza spada che a lui aveva sacrificato la sua vita.

Come in un amaro circolo vorticoso, fraintendimenti e inganni sono la causa delle sventure dei protagonisti e una tunica diviene strumento di morte per entrambi a compimento del macabro disegno vendicativo di Nesso.

Micaela Esdra si mostra straordinariamente versatile nella precisa interpretazione, come ai tempi di Sofocle, di entrambi i protagonisti che, nel corso della tragedia, non si incontrano mai, divinamente calandosi nei panni di Deianira e di Eracle: la prima, forse anche un po’ vittima del suo fascino e della sua bellezza, simboleggia la remissività e la sottomissione della donna greca, ma anche la smodata capacità al perdono e la dedizione viscerale al proprio uomo, mentre il secondo personifica l’eroe spietato e invincibile che, con la sua prepotenza, arroganza e incapacità a provare empatia, solo vicino alla morte perde completamente la sua brutalità e diventa espressione di sofferenza fisica meritevole di commiserazione. La gestualità e la mimica facciale dell’attrice pregne di straordinario pathos, il ritmo vocale sapientemente cadenzato, catturano lo spettatore conducendolo in una dimensione temporale lontana, ma in una condizione interiore assai vicina, tale da permettere agli astanti, immedesimazione e alta carica emozionale.

Nel cast di altissima valenza attoriale anche Elisabetta Arosio, Fabrizio Amicucci, Fabio Maffei, Cristina Maccà, Valeria Cimarra.

Cecilia Ranieri
Foto dalla pagina Facebook della Compagnia

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