Andare al cinema seguendo dei trailer promettenti o un film con tante sale e orari può essere una buona strategia, più spesso però le sorprese arrivano da film con trailer che non presentano il film per com’è veramente, diffuso in poche sale, con sparute proiezioni. Negli ultimi anni, questa cosa mi è successa con “Ariaferma”, con “Grazie ragazzi”, con “The Holdovers”, e più di recente con “Conclave”. Peraltro, quest’ultimo aveva un ulteriore punto a sfavore: non ho potuto apprezzare appieno il film precedente del suo regista, Edward Berger, “Niente di nuovo sul fronte occidentale”, in quanto era uscito direttamente su Netflix: non c’era il grande schermo a magnificare le tecniche di ripresa, i movimenti della macchina, il suono e la fotografia, rendendomelo perlopiù l’ennesimo film di guerra.
Anche per le miscredenti tra le Italiane, però, il Conclave, e tutta la liturgia vaticana, la monarchia più vicina a noi, gli ingranaggi d’oro, fumate e incenso che girano nella Città Eterna, è un momento di fascino irresistibile. Un romanzo di Robert Harris offre ancora una volta l’occasione per una sceneggiatura esaltante, a opera di Peter Straughan.
Alla morte di Papa Gregorio XVI, si apre la corsa al soglio pontificio. In lizza vi sono ben quattro cardinali: Joshua Adeyemi, ambizioso rappresentante delle confessioni africane; Aldo Bellini (un bravissimo Stanley Tucci), portabandiera della Chiesa progressista; Goffredo Tedesco (interpretato da Sergio Castellitto), opaca macchietta delle istituzioni tridentine; Joseph Tremblay, l’ultimo ad aver incontrato il Papa. Il Conclave è coordinato dal decano Thomas Lawrence (un Ralph Fiennes in grande forma). Sullo sfondo, con la promessa di contare molto più di un ruolo secondario, la sorniona Suor Agnes (stupenda, Isabella Rossellini) e il misterioso cardinale Vincent Benitez, arrivato da Kabul.
Dopo l’Extra Omnes, si apre una competizione senza esclusione di colpi tra i quattro contendenti, ma i segnali di dispersione lasciano intendere che ci sia molto di più di un’impasse politica da superare per acclamare il nuovo Vescovo di Roma. Infatti, è vero che come dice il cardinale Sabbadin “siamo qui per servire un ideale, mentre gli uomini possono sbagliare”, ma sulla strada verso il soglio di Pietro qualsiasi errore del passato assume un peso insostenibile. E così, tra scandali sessuali, compravendita di voti, gli scrutini si susseguono con ribaltoni che si rivelano però ancora infruttuosi, e che anzi, rendono il papato perfino un giallo.
Il mondo di fuori, che Lawrence prova a tenere lontano dai cardinali, per non influenzarne la volontà, irrompe violentemente nella Cappella Sistina, assumendo i contorni di un evento sovrannaturale che darà la spinta decisiva alla fumata bianca, e alla Chiesa la sua nuova guida.
È difficile che l’ambientazione vaticana, con la sua magnificenza, deluda gli occhi, in presenza di una produzione così poderosa. Al di là del necessario e massiccio ricorso al rosso cardinalizio, il film non nasconde le ispirazioni alla cinematografia recente e non, in tema: le scene di massa quasi coreografiche richiamano le due serie sorrentiniane (“The Young Pope” e “The New Pope”), il dietro le quinte della proclamazione riporta alla memoria “Habemus Papam” (Nanni Moretti), alcuni tagli nelle inquadrature ricordano la tensione de “Il Caso Spotlight” (Tom McCarthy), i giardini invitano alla meditazione come ne “I due Papi” (Fernando Meilleres). La fotografia, che parte amara e contemporanea, aiutata dai marmi geometrici di Santa Marta, diventa michelangiolesca nella parte centrale del film, sottoponendo tutte le figure al Giudizio Universale, per poi rivelarsi più calda, umana e intimista, quasi caravaggesca, verso la fine.
La religione, nella visione del film, assume solo il ruolo di una scienza sociale con cui regolare il mondo e le persone, un paio di occhiali che puntano la politica, la quale a sua volta punta il potere, il quale a sua volta punta alla società, la quale a sua volta punta lo spirito, e il giro ricomincia.
Anche la zoologia assume una simbologia ben presente: delle tartarughe, immutate da duecento milioni di anni, eppure dinamiche e adattive rispetto al contesto, sollecitano i cardinali alla riflessione e alla cura. Della Chiesa, della fede, dell’umanità.
Beatrice Zippo