Chiesa o teatro?
Era questo il dilemma che in passato affliggeva i napoletani alla mezzanotte del ventiquattro dicembre, quando le chiese aprivano le porte per celebrare ancora una volta il mistero del Cristo incarnato e a teatro andava in scena La cantata dei pastori, sacra rappresentazione del gesuita Andrea Perrucci nata con il nome Il Vero Lume tra l’Ombre, ovvero la Spelonca Arricchita per la Nascita del Verbo Umanato.
La prima edizione dell’opera teatrale fu pubblicata nel 1698, in piena Controriforma, su commissione dei gesuiti, per contrastare la Commedia dell’Arte, considerata allora diabolica. Ma in quella sacra rappresentazione, che racconta di una famiglia povera e affannata alla ricerca di luogo dove partorire la speranza di migliorare il mondo, il popolo napoletano si è riconosciuto e, se nella sacra rappresentazione della Natività ha riposto lo stupore per l’incarnazione del dio cristiano, nella figura dello scrivano Razzullo ha ritrovato tutta la sua veracità (e voracità).
La trama è semplice: racconta di tutte le potenze del male che vogliono impedire la nascita di Gesù e per raggiungere lo scopo ostacolano il viaggio di Giuseppe e Maria a Betlemme, ma a contrastare le forze del maligno arrivano il deciso arcangelo Gabriele, armato come San Michele, nonché gli inconsapevoli Razzullo e Sarchiapone che, capitati in Giudea, cercano solo di provare a rimediare qualcosa da mangiare. Tra versi manierati e sguaiataggini, tra lingua colta e dialetto, tra sacro e profano, la storia racconta le avversità della Sacra Famiglia prima di rifugiarsi nella grotta della Natività e delle avventure picaresche dei due napoletani atterrati in Terra Santa.
Nel tempo a Razzullo (unico personaggio comico permesso dai gesuiti) fu aggiunto Sarchiapone: i due, insieme, fecero così tanto divertire – anche per la scurrilità del loro linguaggio – che la rappresentazione della cantata fu proibita. Continuò comunque ad essere eseguita, prima clandestinamente, poi nei teatrini di quartiere fino al 1974 quando Roberto De Simone la presentò al grande pubblico per arrivare a noi grazie alla dedizione e all’impegno che Peppe Barra porta avanti dal cinquant’anni riproponendo e adeguando al pubblico contemporaneo questo gioiello della tradizione napoletana. La Cantata dei Pastori infatti nel tempo ha subito diversi rimaneggiamenti, dalle quattro ore iniziali oggi viaggia su quasi due ore di spettacolo filato, così approdato sul palcoscenico del Teatro Mercadante di Altamura.
Sotto la regia di Lamberto Lambertini (che dal 1982 lavora al fianco di Peppe Barra) vivono Razzullo interpretato dall’immenso Barra, scrivano affamato, colto di cultura popolare, sempre pronto al doppio senso, arrivato in Medioriente per il censimento degli abitanti; Sarchiapone, barbiere lestofante in fuga da Napoli per le sue malefatte, smargiasso, ingenuamente furbo, mollemente muscolare, nella felicissima interpretazione di Lalla Esposito, accanto a Luca De Lorenzo, Serena De Siena, Massimo Masiello, Antonio Romano, Rosalba Santoro, un cast assolutamente all’altezza dei due protagonisti che sviluppa sul palco il dramma, il comico, il musical e strizza finanche l’occhio all’opera. Le musiche, suonate dal vivo, sono di Giorgio Mellone, eseguite dai maestri Pasquale Benincasa, Giuseppe Di Colandrea, Agostino Oliviero, Antonio Ottaviano.
La cantata dei pastori è uno spettacolo di grande comicità ma anche di grande tenerezza, riesce a trasportare lo spettatore in quell’incanto che da più di duemila anni affascina i cristiani, sia i credenti illuminati dalle fede che i poveri cristi. La cantata dei pastori unisce l’alto e il basso, l’altissimo e il gergale, lo scherzo e il mistero grazie alla grandissima presenza scenica di tutti gli attori: se Barra è il protagonista assoluto dell’arte del teatro, per nulla affaticato dagli anni e anzi capace di coinvolgere il pubblico e l’orchestra in divertentissimi fuori programma, non sono da meno Lalla Esposito, brillante coprotagonista che mai soffre l’ombra di Barra, né il resto della compagnia. Se, insomma, si va a teatro per vedere Barra, si assiste invece ad un affiatato lavoro di squadra, ad uno spettacolo all’antica italiana, dove, sulle tavole scalcagnate, i guitti impersonavano più ruoli, in una girandola di travestimenti che diverte il pubblico e spaventa i due affamati protagonisti sulle dalle scenografie di Carlo De Marino: antiche, bidimensionali, dipinte a mano in cui il lavoro artigiano è romanticamente evidente, vestiti dei costumi familiarmente retrò di Annalisa Giacci.
A mio avviso questo spettacolo ha un solo difetto: non esser stato visto tra l’8 dicembre il 6 gennaio, ma la tradizione vuole che nel periodo natalizio sia rappresentato al Teatro Trianon di Napoli e dunque non resta che organizzare un viaggio tra struffoli e roccocò per il 2026.
Simona Irene Simone
Foto dal sito del Teatro