La Fondazione Teatro Petruzzelli vince la sua sfida affidando l’inaugurazione della Stagione d’Opera 2025 a “Il Corsaro” di Giuseppe Verdi nell’allestimento firmato da Lamberto Puggelli con la direzione d’orchestra di Stefano Montanari

Dotato di acutissimo istinto, il Verdi comprese essere necessario liberarsi dal fascino prepotente della imitazione. Volle essere lui, e fu lui: tutto impregnato di italianità, ossequente alle tradizioni dell’opera melodrammatica del settecento e dell’ottocento, ebbe come la divinazione dei tempi nuovi; ond’è che le sue opere del primo periodo, dal ‘Nabucco’ alla ‘Luisa Miller’, furono promessa, anticipazione, conferma; furono impulso vigoroso alle speranze e alle aspirazioni ancora confuse di una gente, che domandava all’arte qualcosa più di uno sterile conforto.” (Eugenio Checchi)

Ammettiamolo: a volte gli organi preposti a stilare i cartelloni delle Stagioni liriche dei nostri maggiori teatri di tradizione perpetuano una spiacevole quanto inutile pratica individuando il cosiddetto “periodo minore” di un compositore e relegandone le opere composte in quel lasso di tempo a – se va bene – miseri riempitivi, un po’ come quella odiosa usanza delle ‘case perbene’ che, all’arrivo degli amici importanti, impone di confinare, se non relegare, nello sgabuzzino il parente ritenuto vecchio ed inutile. Spesso tale aprioristica scelta si è rivelata del tutto ingiusta ed iniqua, soprattutto quando si tratta della musica di Giuseppe Verdi, non essendo davvero possibile, anche ad orecchio poco allenato, non ritrovare in ogni sua composizione la grandezza di un artista unico, immenso, ineguagliabile, dovendo alfine ammettere che anche nella produzione giovanile del Genio di Busseto ci siano già i semi dei meravigliosi fiori che sbocceranno di lì a poco, conquistando il mondo.

Anche “Il Corsaro” ha al suo interno quel virgulto, pur – non nascondiamocelo – lapalissianamente risentendo di talune difficoltà del compositore a piegare alla musica i versi dell’omonima novella di George Byron, ridotta su libretto da Francesco Maria Piave, tanto che lo stesso Verdi perse interesse per la sua creatura al punto da disertarne la direzione del debutto al Teatro Grande di Trieste il 25 ottobre 1848; a quella Prima seguirono solo tre repliche e, da allora, l’Opera visse di scarsa fortuna, essendo peraltro spesso osteggiata dalla critica; così le vicende del corsaro Corrado, inquieto eroe perdente, maledetto da Dio e dagli uomini, condannato ad improcrastinabile fallimento dalla sua stessa ambizione, sembrarono sposarsi perfettamente con le sorti dell’Opera stessa, esiliata dai palcoscenici per ben 115 anni, con buona pace – ed anche una generosa dose di malcelata insofferenza – del suo creatore, che la aveva abbandonata al suo destino già dai tempi della – immediatamente successiva – scrittura di “Luisa Miller”.

La storia appare fin troppo didascalica. Per ragioni oscure, Corrado è stato condannato alla vita piratesca, ma spera in cuor suo di riscattarsi, così da poter tornare alla sua precedente vita convolando a nozze con l’amata e fedele Medora; spinto da questo impeto, parte con i suoi fidi per una più che audace ed incerta missione contro i musulmani, nonostante Medora lo metta in guardia con una tragica profezia di sconfitta e morte. Giunto nel palazzo del Pascià Seid, Corrado ingaggia uno scontro con i musulmani e sembra essere vicino al successo allorquando deve abbandonare la pugna per salvare da un incendio scoppiato nell’harem le concubine del nemico, tra cui la sua preferita Gulnara che egli ama non ricambiato. Fatti prigionieri, i corsari subiscono la sanguinaria vendetta dei musulmani ed anche Corrado conoscerebbe la stessa sorte se Gulnara, invaghitasene per il suo gesto eroico, non lo salvasse, giungendo a pugnalare a morte Said pur di fuggire con lui. Intanto Medora, non sapendo che il suo amato è sulla via del ritorno bensì credendolo morto, si avvelenerà ed avrà il tempo solo per rivederlo un’ultima volta e per spirare tra le sue braccia; Corrado, sopraffatto dal dolore, si suicida gettandosi dalla scogliera, mentre a Gulnara, spettatrice degli eventi, mancano le forze e viene meno.

Pur potendo ipotizzare che l’esile, scontato, assai poco originale e, finanche, noioso melò byroniano fosse venuto ad uggia al Maestro finanche durante la fase compositiva al punto da fargli dichiarare che “questa musica che ho scritto senza attribuirle importanza, per liberarmi di un editore odioso, probabilmente manca di ispirazione”, prova ne sia la famosa ‘citazione’ nella sezione “All’armi, all’armi!” del primo atto della cabaletta di Carlo dei ‘Masnadieri’, opera che Verdi aveva completato poco prima per Londra, non possiamo non testimoniare che anche nel Corsaro non solo, come osservò Mario Medici, “la materia è compatta, vibrante, l’accento inconfondibile, il taglio netto”, ma, come detto, a ben guardare si ritrovano tutti gli stilemi che, di lì a poco, avrebbero reso divino il lavoro di Verdi: nell’accompagnamento musicale del duetto tra Corrado e Gulnara del terzo atto non c’è già un’anticipazione del tratteggio dedicato al rapporto tra Amneris e Aida? E nella tempesta che imperversa durante l’efferato assassinio di Seid per mano di Gulnara, non vi è la stessa altissima cifra drammaturgica già sperimentata nel ‘Macbeth’ e poi sublimata nel ‘Rigoletto’? E, ancora, nel concertato finale in cui i drammatici destini dei tre protagonisti si intrecciano nella morte non vi è forse già tutta la maestria che renderà memorabili le successive opere, ‘Il Trovatore’ sopra tutte, ma anche ‘Otello’ e – perché no – ‘La Traviata’? Dunque, stiamo attenti a definire “Il Corsaro” un’opera minore, soprattutto quando viene riproposta nell’ormai rodato allestimento firmato dalla regia di Lamberto Puggelli, le scene di Marco Capuana ed i costumi di Vera Marzot, prodotto dal Teatro Regio di Parma e dal Teatro Carlo Felice di Genova che, dalla sua prima edizione del 2004, continua ad imporsi giustamente come un must imprescindibile.

Quindi, per tutto ciò che abbiamo sinora ripetuto, non possiamo non lodare la scelta della Fondazione Teatro Petruzzelli che ha affidato l’inaugurazione della sua Stagione d’Opera 2025 – l’ultima (lasciateci sinceramente dire ‘purtroppo’) con la Sovrintendenza affidata a Massimo Biscardi – alla versione di Puggelli, qui ripresa da Grazia Pulvirenti, che si mostra al pubblico barese in tutta la sua magnificenza, con particolare rilievo soprattutto allo splendido lavoro di Capuana, esaltato dal disegno luci di Andrea Borelli, con le gigantesche vele, nere dei corsari e rosso sangue in battaglia o bianche in pace dei musulmani, a sovrastare tutto il palco. Se si eccettua qualche rarissima impercettibile, se non insignificante, svista, la regia, pur nella sua ‘semplicità’, appare uno dei punti di forza dell’allestimento, sapendo assecondare la musica di Verdi in ogni sua componente, delicata quando serve ma anche più che impetuosa nelle scene di battaglia, anche grazie al fondamentale apporto del maestro d’armi Renzo Musumeci Greco, con il colpo di scena nel finale di quella scala protesa verso il cielo (una sorta di “stairway to Heaven” ante litteram) che sembra voler infine assolvere i due amanti protagonisti dal loro definitivo insano gesto, promettendo loro una nuova vita d’amore.

Felicissima la direzione del maestro Stefano Montanari che, a capo della ‘sua’ Orchestra, in assoluto stato di grazia, e del Coro, capace di una performance da antologia grazie alla sempre mirabile preparazione di Marco Medved, riusciva a scandagliare la pagina verdiana e a restituircene uno stile strumentale e vocale del tutto appropriato, pregno di oscillanti linee cromatiche e nitida varietà di colori di pregevolissima fattura, rendendo appieno ogni sfumatura contenuta nel pentagramma; i due ensemble del Teatro Petruzzelli sembrano gareggiare in bellezza e maestria, mettendo in rilievo quelle sfumature intense e vivissime che sono peculiari dell’Opera, consegnandocene una versione assolutamente eccezionale.

All’ottima prova dei musicisti e dei coristi, va sicuramente aggiunta la straordinaria resa del cast nella sua globalità, peraltro tutti – finalmente – dotati di un esemplare physique du rôle e di buone doti attoriali che facevano ancor più apprezzare la rappresentazione, meritandosi applausi a scena aperta e giuste ovazioni finali.

Rame Lahaj, tenore in perenne meritatissima ascesa e star del belcanto kosovaro di cui è Ambasciatore nel mondo, è un Corsaro dalla voce impressionante, omogenea nell’intera gamma, morbida ed impetuosa, penetrante e rotonda, assolutamente in possesso di tutti i colori emotivi degli eroi verdiani, donando però maggiore risalto alla passione e alla malinconia che spesso sfociano nella più cupa disperazione; il suo Corrado riesce a trasmettere alla platea tutti i tormenti dell’eroe maudit mai domo e tutto il pathos che Verdi ha riversato nel suo protagonista più sottovalutato e trascurato.

Guanqun Yu, forse per le sue origini orientali forse per l’abito di scena assegnatole o ancora per la sua figura eterea, al suo apparire richiamava alla mente più Turandot che Medora; invece, il suo canto, sempre limpido e cristallino, è uscito vincitore dalle impervie prove impostele dal sommo compositore, avvolgendo i cuori e trasmettendo in modo indelebile tutta l’angoscia del suo personaggio soprattutto nelle pagine solitarie, mentre si fa meno efficace nei momenti di incontro/scontro con Corrado.

Salome Jicia è Gulnara: non vi è un solo istante dell’intera rappresentazione in cui lo spettatore non identifichi il soprano georgiano con l’eroina omicida, al punto da portarci a ritenere che Verdi stesso non avrebbe desiderato miglior interprete per la sua seducente protagonista; dominata da un fuoco inestinguibile che avvampa e divampa in ogni istante della sua performance, Jicia, in possesso di una padronanza scenica e di una espressività attoriale da far invidia, è perfetta nel rendere gli spasmi dell’anima della schiava desiderosa di libertà e di amore, grazie – ça va sans dire – ad una voce strabiliante quanto impetuosa che riesce a farsi largo anche nei duetti.

Vladimir Stoyanov dà al suo Seid un’impostazione solida tanto dal punto di vista interpretativo quanto vocale, che convince ed emoziona nell’aria “Cento leggiadre vergini”, così come ben si amalgama con il rivale Corrado e con l’amata Gulnara nei duetti. Convincenti le prove di Mauro Secci (Selimo), Emanuele Cordaro (Giovanni) e Tommaso Nicolosi (Un eunuco, uno schiavo).

Pasquale Attolico
Foto di Clarissa Lapolla
per gentile concessione della
Fondazione Teatro Petruzzelli

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