Musica e poesia: due arti, una sola anima. Maria Antonietta Epifani e Trifone Gargano con il libro “La Musica e Dante” mettono a confronto i due universi cogliendone le affinità

Vides ut alta stet nive candidum Soracte …“ (Ode a Taliarco di Orazio); “Tityre, tu patulae recubans sub tegmine fagi …” (incipit delle Bucoliche di Virgilio); “Femmena tu si na malafemmena, m’è intussicata l’anima …” (Malafemmena di Antonio De Curtis in arte Totò).

Già la scansione metrica nella versione latina e napoletana dei versi che ho sopra riferito suggerisce la “musicalità” che è consustanziale a tali versi di tre diversi autori. Non c’é alcun dubbio. Basta andare su YouTube e vedere la spiegazione di Totò che dice chiaramente che i versi di Malafemmena contengono già la musica. Paolo Conte, invece, la pensa diversamente: lui nelle sue notti insonni compone la musica dei suoi brani e dopo ci aggiunge i versi. E dove non trova il vocabolo esatto, si rifugia nell’assonanza gutturale oppure nel kazoo.

Ma cosa c’entra tutto questo con la poesia che è anche musica?
A questa domanda veramente difficile ed inquietante dà una originale risposta Maria Antonietta Epifani nel suo originale libro intitolato “La musica e Dante” scritto con Trifone Gargano (ed.Progedit-2022).

Che Dante nella sua infinita grandezza aveva anche la sua musica nei suoi versi immortali (ma non solo Dante ma anche altri grandi autori), la Epifani lo dimostra in maniera semplice facendo “cantare” il Dante dell’Inferno, del Purgatorio e del Paradiso.

E lei (che è anche e soprattutto una grande dantista e una grande musicista) si avvale della tecnologia perché a commento di quello che scrive dimostra la musicalità della poesia di Dante attraverso l’impiego del QR Code che ti consente di “sentire” dal vivo la musica/poesia.

Onestamente è la prima volta che mi imbatto in una ricerca letterario/scientifica di tale genere, anche se i miei professori del Liceo Classico mi hanno sempre riferito che la scansione dei versi conferisce sempre la esatta misura della loro musicalità anche in Dante, dove  la colleganza musica/poesia non venne a suo tempo approfondita. Ed erano gli anni dal 1958 al 1963. Ma “Fatti non foste a viver come bruti, ma per seguir virtute e canoscenza” mi suggerisce la grande musicalità non soltanto dei versi ma anche della voce ineguagliabile di Tancredi Pasero, forse il migliore basso del mondo.

Ma ancora Paolo e Francesca (“a quei due  che ’nsieme vanno, e paion sì al vento esser leggeri” … “Noi leggiavamo un giorno per diletto di Lancialotto come amor lo strinse; soli eravamo e sanza alcun sospetto. Per più fiate li occhi ci sospinse quella lettura, e scolorocci il viso; ma solo un punto fu quel che ci vinse. Quando leggemmo il disiato riso esser basciato da cotanto amante, questi, che mai da me non fia diviso …). Richiamano non soltanto la indubbia melodia di questi versi, ma anche la incredibile voce di Maria Callas anche nel finale “che questi non fia mai da me diviso” dove la tragedia dei due personaggi innamorati si fa anche essa storia romantica senza fine e dove non esiste la composizione di un quadro di bellezza per cosi dire alessandrina, ma il contenimento della esplosione di un sentimento.

Tutto il V Canto dell’Inferno, molto più terreno e vicino a noi, suggerisce  anzi impone la musicalità e la poesia del nostro cuore e della nostra anima perché “la musica riporta sempre alla poesia, anzi la poesia è e  non può che essere  musica e viceversa”.
Queste mie personali conclusioni sono banalmente il frutto di una lettura attenta, serena e musicale di questo singolare e speciale libro che Maria Antonietta Epifani ha scritto forse per i nostri giovani figli, i nostri giovani nipoti.
Dove si suggerisce l’immortalità della musica e della poesia.
Sempre.

Nicola Raimondo

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