
Io sono profondamente ignorante in varie materie, o forse in tutte, però mi informo sempre, leggendo, per provare a fare una considerazione differente da altri a cui basta leggere un titolo, soffermandosi a questo che è solo la sintesi di un articolo e che spesso è fuorviante, per dire la propria in modo sconclusionato e senza alcuna base di conoscenza.
Il Governo Meloni sta collezionando una serie di brutte figure che mettono in imbarazzo l’Italia sul piano interno e internazionale. Non si tratta solo di scelte politiche discutibili, ma di una gestione permeata da superficialità, contraddizioni e clamorosi scivoloni che mostrano l’inadeguatezza della compagine governativa.
Un episodio emblematico è stato quello del ministro dell’Agricoltura, Francesco Lollobrigida, ex cognato della premier, il quale ha preteso che un treno si fermasse per farlo scendere alla stazione da lui indicata. Per carità, perché mai un cittadino qualunque dovrebbe lamentarsi di qualche minuto di ritardo, se il motivo è tanto nobile? Un aristocratico diritto acquisito, pare.
Un altro episodio imbarazzante riguarda il sottosegretario Pozzolo, quello dalla “colt” facile, coinvolto in uno scandalo per aver, forse, esploso colpi di arma da fuoco durante la notte di Capodanno. Certo, chi non festeggia sparando qualche colpo in aria? Un’esemplare lezione di civiltà per tutti.
Il rinvio a giudizio del sottosegretario Del Mastro per fuga di notizie e rivelazioni segreti d’ufficio. Insomma, roba da dilettanti allo sbaraglio.
Non possiamo poi dimenticare la ministra del Turismo, Daniela Santanchè, travolta da accuse di gestione illecita delle sue aziende e indagata per truffa ai danni dello Stato. Ma niente paura: l’etica in politica è ormai una moda superata, no?
Giorgia Meloni, pur cercando di presentarsi come istituzionale, si rifiuta ostinatamente di dichiararsi antifascista. Dopotutto, perché mai dovrebbe condannare apertamente un regime che in passato ha solo contribuito a una dittatura e a un genocidio? Questione di sfumature. Dalla farsa della telefonata con i comici russi all’isolamento europeo sul patto di stabilità, passando per la sentenza del Tar del Lazio che ha bocciato l’obbligo per i benzinai di esporre i cartelli dei prezzi (mentre le accise, che non sarebbero dovute aumentare, sono aumentate), il governo Meloni sta inanellando un flop dietro l’altro.
Il recente scandalo legato alla detenzione e successiva fuga di Alì Halmiri, un criminale su cui si erano concentrate le attenzioni della stampa, ha evidenziato la totale inefficacia delle misure di sicurezza e di sorveglianza adottate dal governo. Ma tranquilli, ci diranno che è tutta colpa dei giudici. Uno dei punti su cui la Meloni ha insistito di più è stato l’accordo con l’Albania per la detenzione di migranti in strutture fuori dall’Italia. Peccato che la giustizia abbia stabilito il rientro dei migranti, smentendo clamorosamente la propaganda meloniana. Ma non preoccupatevi, presto inventeranno un altro slogan per distrarci. Da “Fu-nziò-ne-ran-no” a “ri-tòr-ne-ran-no” per dirla alla Bruno Lauzi però alla terza persona plurale.
Meloni non ha mai preso le distanze da Donald Trump o Elon Musk, anzi, ha mostrato più volte compiacenza verso di loro. Del resto, perché smarcarsi da due giganti della diplomazia moderna? Uno dei refrain più usati da Meloni è la sua presunta “non ricattabilità”. A forza di ribadirlo, viene da pensare che abbia qualcosa da nascondere. Di solito chi è davvero libero da condizionamenti non sente il bisogno di urlarlo ogni tre per due. Il tentativo di tassare gli extraprofitti delle banche si è rivelato un’operazione clamorosamente fallimentare, garantendo un gettito nullo.
Nel frattempo, la Rai si avvia verso una crisi epocale sia nei contenuti che nei conti, mentre il Tg1 continua a glorificare il governo come se fosse un’entità divina, facendo sembrare Meloni una statista migliore di De Gasperi e i ministri dei fenomeni della politica. Peccato che i ‘conduttori amici’ facciano ascolti disastrosi, mentre le punte di diamante dell’informazione fuggono su La7 e sul Nove. I giornali, ormai, contano poco: di fronte a un Tg1 che manipola la realtà, cosa vuoi che pesi un editoriale critico di Repubblica o un articolo pungente della Stampa? Gian Marco Chiocci, direttore del Tg1 e punta di diamante della propaganda meloniana, è così bravo che si parla di lui come futuro amministratore delegato della Rai. Intanto la realtà avanza e, prima o poi, travolgerà anche questa bolla di narrazione autocelebrativa.
Meloni continua a vantarsi dell’attuazione del Pnrr, ma la realtà è che finora l’Italia ha raggiunto solo il 37% degli obiettivi. Non male, ma non certo il primato che si cerca di far credere. Francia, Danimarca, Lussemburgo e Malta sono più avanti di noi, ma ovviamente queste informazioni non trovano spazio nel Tg1 delle 20.
Potrei continuare a lungo con l’elenco delle brutte figure del governo Meloni, dal pasticcio sul Superbonus alle tensioni con l’Europa, dall’incapacità di gestire la crisi economica al clientelismo dilagante. La realtà è che questo esecutivo sta portando l’Italia a fondo con un metodo pericoloso e autoritario, senza alcuna visione strategica per il futuro. Forse, a conti fatti, anche il tanto deriso governo grillino non era poi così male. Certo, l’inconsistenza era evidente, ma almeno non si assisteva a una tale sfilza di scandali e umiliazioni internazionali. Toninelli, nella sua discutibile gestione tendenzialmente goffa, non era peggio di Santanchè, e il Movimento 5 Stelle, pur con tutte le sue lacune, non ha mai mostrato questa pericolosa deriva autoritaria.
È il caso che il governo Meloni faccia un passo indietro, prima di arrecare ulteriori danni al Paese. Certo, l’opposizione è divisa e inefficace, ma meglio un’opposizione caotica che un governo che sta distruggendo la credibilità dell’Italia nel mondo. Forse è ora che si dimettano, evitando altre brutte figure che ci mettono alla berlina agli occhi della comunità internazionale. Mentre il busto del duce rimane un punto fermo sulla scrivania di La Russa, e il braccio teso fascista continua a rimanere più o meno impunito.
Cadetto di Guascogna