
Inaugurata il 31 gennaio scorso la Stagione concertistica 2025 del Teatro Petruzzelli. Ad aprire il sipario ci ha pensato l’Orchestra del Politeama barese diretta da Stefano Montanari con un programma ambizioso e solenne, la Quinta Sinfonia in do diesis minore di Gustav Mahler.
A fare gli onori di casa Massimo Biscardi in persona, Sovrintendente uscente della Fondazione lirico sinfonica del Teatro, nominato lo scorso ottobre Presidente Sovrintendente dell’Accademia di Santa Cecilia a Roma. Biscardi, con sullo sfondo l’intera compagine orchestrale barese, ha salutato il pubblico di un teatro in sold out per questo concerto. Si è detto onorato per aver lavorato in questi undici anni in cui il Petruzzelli è innegabilmente cresciuto, emergendo non solo come contenitore culturale, ma soprattutto come promotore di ricerca, di produzione e valorizzazione del patrimonio artistico musicale, luogo sempre più riconosciuto e apprezzato dal pubblico. Ne sono prova nell’ultimo anno i numerosi sold out registrati, così come sono aumentati esponenzialmente gli abbonati. Sintomo di un ritrovato interesse e un più diffuso apprezzamento per la musica così detta “colta”, anche presso le giovani generazioni.
Biscardi saluta, ma promette di tornare nelle poltrone del pubblico, anch’egli a godere delle muse e dare tributo all’impegno di musicisti, cantanti, attori, maestranze artistiche e tecniche che stanno facendo grande questo teatro.
L’uscita di scena di Biscardi, salutato dagli applausi del pubblico, ha lasciato il passo all’ingresso del direttore, Stefano Montanari, accolto con grande calore. Al primo accenno di silenzio in sala la tromba tonitruante del primo movimento della sinfonia ha introdotto il verbo mahleriano.
La bacchetta di Montanari ha condotto la marcia funebre disegnata dal compositore boemo, viennese di adozione, con cadenza solenne e funesta rendendo l’agogica voluta da Mahler in questo primo movimento. In questa sinfonia, già concepita nella tromba preconizzata nella precedente quarta, Mahler racconta in musica un momento cruciale della sua vita, quando ha attraversato le forche caudine dello sfioramento della morte a causa di una grave emorragia intestinale e, appena convalescente, fece l’incontro che lo vide risorgere, con Alma Schindler. La sinfonia, infatti, nei cinque movimenti che la compongono, è un viatico dalla morte alla vita, non in chiave spirituale, ma così come la natura si manifesta, in tutta la sua complessità fenomenica.
Mahler ha raggruppato i cinque movimenti suddividendo la sinfonia in tre parti. Il moto oscillatorio tipico delle sue composizioni si è manifestato nel dialogo tra fiati e archi reso dall’orchestra per paventare il tormento prima misurato e severo, poi tempestoso con veemenza, dell’incontro definitivo con la morte. La prima parte, quindi, è costituita concettualmente e narrativamente dai primi due movimenti. Qui la morte spaventa e vince, prima presentandosi come scena reale vissuta nell’incedere di un corteo funebre, poi attraverso un meccanismo di sublimazione, come facendo affiorare il racconto dei pensieri della gente del corteo, pensieri resi dagli archi e da una parentesi di cauta dolcezza esecutiva. In questa prima parte la partitura è agita dagli archi, dai fiati e dalle percussioni presenti e caratterizzanti. Tanto che Alma Mahler, quando lesse per la prima volta la partitura disse a Mahler che le pareva avesse scritto una sinfonia per percussioni. definizione tanto più vera nel movimento centrale, scherzo nella descrizione agogica.
La seconda parte è l’isola disegnata in questo scherzo centrale. Qui, come in un quadro di Bruegel, Mahler affida alle specificità timbriche degli strumenti presenti e suonanti nell’orchestra i molteplici racconti dei micro risvegli della natura, come quando, al termine dell’inverno, la primavera si annuncia in tanti caotici piccolissimi, impercettibili eventi apparentemente privi di connessioni. L’orchestra, al gesto grande e concitato di Montanari, ha dato voce piena alla complessità sinfonica del racconto mahleriano, rendendo la vivacità della redenzione imminente antecedente la terza e ultima parte.
Il risveglio, la resurrezione, ha la dolcezza dello spuntare dell’aurora nel quarto movimento, l’Adagietto. Il sussurrare degli archi cadenzato dal pizzicare dell’arpa, entrato nell’immaginario collettivo grazie alla scelta di Luchino Visconti per il suo “Morte a Venezia”, ha lentamente scostato il velo dipanando la gioia di un’apparizione. Lo stesso Mahler riporta dello stato d’animo provato all’incontro soave e dolce con colei che sposerà. Per questo Adagietto si impongono alla memoria illustri direzioni, quale quella rasente la perfezione di Bruno Walter, e la responsabilità interpretativa da parte dell’orchestra del Petruzzelli era altissima. Decisamente di grande qualità il risultato. Qui Montanari ha abbandonato la bacchetta e ha diretto l’orchestra con le sole mani, come per un coro di voci, perché gli strumenti rendessero il canto evocato dalla partitura di Mahler.
Il rondò finale, annunciato dal dialogo serrato e vivace tra fiati e archi, ha fatto roboare la sala con la coralità e la rutilante frenesia del risveglio della natura intera. Incantevole la sincronicità di movimento degli archetti che sfioravano le corde dei violini, dei corpi di tutti i maestri d’orchestra con i gesti del loro direttore. Un tripudio di timbri e una gioiosa concitazione hanno condotto al climax dell’ultima pagina di questa immensa sinfonia. Grandi e lunghi applausi.
(Suggerimento d’ascolto: Bruno Walter conducts Mahler)
Alma Tigre
Foto di Clarissa Lapolla