La settimana sportiva: l’analisi di Bari – Salernitana

E siamo a sedici. Sedici pareggi, record come il Catanzaro che, però, deve giocare oggi. Un altro, l’ennesimo, ottenuto dopo una partita brutta, opaca, figlia di una squadra senza identità, senza idee, senza ambizioni. Il Bari continua a essere l’ombra di sé stesso, incapace di decidere cosa vuole e, soprattutto, di trovare il modo per ottenerlo. Eppure, nel paradosso del calcio, proprio in questa gara fischiata (ipocritamente) dal pubblico, la squadra biancorossa si ritrova all’ottavo posto, momentaneamente sopra il Palermo. Certo, la crisi dei rosanero durerà esattamente fino alla partita con il Bari, quando torneranno improvvisamente a giocare come se nulla fosse e, magari, a vincere. Una casualità? No, un classico. Soprattutto quando l’avversario è il Palermo: andatevi a vedere gli almanacchi.

I giocatori sono apparsi in surplace, immobili, quasi rassegnati. Forse, come si dice, non tutti i mali vengono per nuocere: la sosta potrebbe servire per riordinare le idee e stabilire un obiettivo concreto. Perché, se si vuole rimanere aggrappati al treno dei playoff, occorre cambiare passo e dimostrare qualcosa di più rispetto alle prestazioni viste prima e dopo la gara vinta con lo Spezia. E magari recuperare qualche giocatore ormai psicologicamente e fisicamente allo sbando. Ma se il Bari continua a giocare come ha fatto nelle ultime settimane, non ci sarà speranza. Perché, diciamocelo, le vittorie di Mantova e il pareggio a Reggio Emilia contro la prima della classe, entrambe ottenute con un solo tiro in porta, non possono essere motivo di ottimismo.

Un’altra occasione sprecata, un altro pareggio contro un avversario assolutamente alla portata. Una partita giocata con la stessa intensità di una scampagnata domenicale, con la squadra incapace di accelerare nel secondo tempo. E qui entra in scena il grande protagonista non dichiarato della partita: il gemellaggio. Perché a quanto pare, oltre alla multiproprietà che tarpa le ali a una città metropolitana di oltre un milione di abitanti, con il terzo stadio d’Italia, con 30 anni di A alle spalle, ora ci si mettono anche le fratellanze tra tifoserie a determinare il destino delle partite. Si fa amicizia sugli spalti, si fanno strette di mano fuori dallo stadio, si condividono banchetti a “nderr alla Lanza”, si beve, si mangiano i ricci, i polpi, si offre la focaccia, il panzerotto, si fa comunità, “tutto molto bello”, per dirla alla Pizzul, ma poi in campo si recita il copione già scritto che tanto fa incazzare: nessuno fa male all’altro, tutto resta in equilibrio. Ormai non è nemmeno più sospetto, è certezza. Dopo il pareggio con la Sampdoria, qualcuno aveva ancora dubbi su come sarebbe andata con la Salernitana? Fortuna che la Reggina è sprofondata nei dilettanti, altrimenti avremmo già prenotato un altro inutile pareggio.

Il pubblico, pur sapendo già il finale, ha avuto l’ipocrisia di fischiare. Come se non fosse chiaro fin dall’inizio che sarebbe finita così. Il campo ha mostrato una difesa solida, un centrocampo evanescente e un attacco sterile, ma soprattutto un secondo tempo all’insegna del “volemose bene, non facciamoci del male”.
Lasagna continua a sbagliare gol come un collezionista di figuracce. I sostituti? Fantasmi. Falletti, ormai ai margini delle gerarchie di Longo, sembra un personaggio dostoevskiano: enigmatico, decadente, l’ombra di sé stesso. E allora la domanda sorge spontanea: perché portarlo in panchina se non è in condizione, in particolare con 39 di febbre? Misteri che nemmeno Borges saprebbe spiegare.

L’impressione è che il Bari abbia giocato per il pareggio, come se fosse un passo avanti verso la salvezza. Altro che playoff. Sabato sera c’era la possibilità di scavare un piccolo solco sulle concorrenti e invece si è preferito non rischiare. Qualcosa non torna. Anzi, sì, torna tutto. Questa squadra sembra destinata a un eterno limbo, prigioniera della sua mediocrità. Il concetto di “volere è potere” qui non attecchisce, perché non c’è un vero desiderio di osare, di crescere, di tentare il salto di qualità. E se qualcuno ancora si illude di poter parlare di playoff, è bene che si prepari alla solita doccia fredda: il Bari, giocando così, uscirebbe al primo turno senza neanche rendersene conto.

Ma alla fine, cosa importa? Tanto finisce sempre nello stesso modo: con una Peroni in mano, un polpo crudo e una focaccia, baresi e salernitani felici e ridenti a commentare, anzi a festeggiare, l’ennesimo pareggio annunciato. Come se fosse normale. Come se non bastasse la multiproprietà a rendere tutto più difficile, ora dobbiamo anche fare i conti con la zavorra del gemellaggio. E così, nel giorno in cui serviva una vittoria per dare senso alla stagione, il Bari ha scelto di recitare la parte di Ulisse con le sirene: anziché osare, ha preferito farsi legare all’albero maestro della prudenza, restando in balia di un destino già scritto. E il bello è che ormai ci siamo abituati. Anzi, lo accettiamo. E forse, sotto sotto, ce lo meritiamo.

Eduardo De Filippo scrisse una celebre commedia dal titolo “Questi fantasmi!”. Ecco, io mi permetto di mutuarlo correggendolo in “Questi gemellaggi”!

Massimo Longo

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