
Ascoltando le interviste al pubblico sui canali social ufficiali del Bifest, mi ha colpita in particolare quella di un ragazzo, che ha detto, con gli occhi che gli brillavano, che “Il Bifest è un po’ come il Natale, è sempre festa quando arriva”. Ed è proprio così: al di là della consueta bagarre per accaparrarsi i biglietti, il Bifest è la scorpacciata di film da parte di una città intera, espressiva di un evidente bisogno di più prodotti di qualità, di più attenzione verso il pubblico, di una sete di bellezza lontana dall’essere placata.
Non solo le anteprime internazionali, questa edizione, la sedicesima, la prima sotto la direzione artistica di Oscar Iarussi, prevede nuove e bellissime sezioni: Meridiana, dedicata ai film dell’area del Mare Nostrum; Sarò breve, dedicata ai cortometraggi. Le retrospettive acquisiscono nuova dignità: una, dedicata a Nanni Moretti, è impreziosita dalla sua masterclass. La seconda, che più che una retrospettiva è un focus, è sulla casa di produzione A24, americana, che si chiama così proprio per l’autostrada Roma Teramo, che uno dei fondatori stava percorrendo, pensando al nome per il suo progetto. Ha prodotto alcuni tra i film più interessanti degli ultimi tredici anni, tra cui “Lady Bird” del 2017, scritto da Greta Gerwig, che qui esordisce alla regia. L’introduzione a questa retrospettiva è affidata a Angelo Ceglie, che ha fortemente voluto questa carrellata di film, tutti speciali e diversi l’uno dall’altro.
Christine (Saoirse Ronan), che preferisce farsi chiamare Lady Bird, vive a Sacramento, in una famiglia che fatica ad arrivare a fine mese, una vita in cui non manca l’essenziale, ma in cui problemi come disoccupazione e depressione sono più vicini e più veri. Nel 2002, è all’ultimo anno di liceo, ma sogna di andare all’Università a New York. Una vita opaca, nessun talento apparente, nessun vero interesse, in cui però l’amicizia conta. Sullo sfondo, l’America dell’inizio del Ventunesimo Secolo, tra canzoni di Alanis Morissette, Justin Timberlake e Bone Thugs-n-Harmony, l’11 settembre che ha congedato definitivamente il Novecento, i primi cellulari e i primi contatti con il World Wide Web. Un mondo tremendamente difficile per una ragazza, alle prese con i primi amori, con gli strumenti educativi tradizionali e una fluidità nelle relazioni che non ha ancora trovato le terminologie per essere definita e compresa.
Col fiato sospeso per le numerose domande presentate presso le Università della East Coast, Lady Bird compie un coming of age tenero e orrendo, anzi “amorevole e inquietante”, come Danny, primo fidanzatino, definisce sua madre.
Un film girato nell’intimità delle camerette e delle aule scolastiche americane, con qualche effimero spazio di magnificenza nella messa domenicale, tra improbabili vestiti da cerimonia presi dal mercatino dell’usato, ostie mangiate di nascosto in sacrestia e suore votate al mecenatismo, oltre che sposate a Gesù.
Si intravedono già in questo film gli embrioni che fioriranno nel successo di “Barbie”, fatti di sorellanza, rifiuto dei ruoli precostituiti e di uomini che sono vincenti quando rinunciano all’attuare dinamiche prevaricatrici e manipolatorie.
È ora di un’altra sorpresa, sempre targata Bifest.
Beatrice Zippo