
“L’ispirazione, qualunque cosa sia, nasce da un incessante “non so”. Per questo apprezzo tanto due piccole paroline: “non so”. Piccole, ma alate. Parole che estendono la nostra vita in territori che si trovano in noi stessi e in territori in cui è sospesa la nostra minuta Terra. Anche il poeta, se è vero poeta, deve ripetere di continuo a se stesso “non so”. Il mondo, qualunque cosa noi ne pensiamo, spaventati dalla sua immensità e dalla nostra impotenza di fronte a esso, amareggiati dalla sua indifferenza alle sofferenze individuali (di uomini, animali, e forse piante, perché chi ci dà la certezza che le piante siano esenti dalla sofferenza?), qualunque cosa noi pensiamo dei suoi spazi trapassati dalle radiazioni delle stelle, stelle intorno a cui si sono già cominciati a scoprire pianeti (già morti o ancora morti?), qualunque cosa pensiamo di questo smisurato teatro, per cui abbiamo sì il biglietto d’ingresso, ma con una validità ridicolmente breve, limitata dalle due date categoriche, qualunque cosa ancora noi pensassimo di questo mondo – esso è stupefacente.” (dal discorso tenuto da Wislawa Szymborska il 7 dicembre 1996 in occasione del conferimento del Premio Nobel)

“Il signor G è un uomo normale, un uomo come tanti. G come Giorgio? G come Gaber? Diremmo piuttosto G come gente.”: ebbene, pur senza abbandonare la fedele inestinguibile venerazione nei confronti del Maestro Gaber, credo di poter affermare che a questa elencazione d’ora in poi si possa aggiungere “G come Giusto”, dichiarando fermamente che il personaggio creato ed interpretato da Rosario Lisma per il suo strabiliante monologo “Giusto”, andato in scena al Teatro Kismet di Bari nell’ambito dell’ottimo cartellone “Attraversamenti 2025” curato da Teresa Ludovico, sia da assurgere nell’Olimpo dei grandi classici del nostro teatro.
Scritta dallo stesso Lisma nel 2020, in piena pandemia, “Giusto” è la storia di un siciliano emigrato per lavoro in quel di Milano, dove condivide da anni un appartamento con una donna che vi si materializza molto di rado e con Salvatore, l’amico artista e filosofo che passa il tempo a dipingere finestre sulle pareti per poi provare a passarvici attraverso. Impiegato dell’Inps, remissivo, taciturno, solitario, buono, sempre disposto ad aiutare gli altri e a non dire mai di no per indole e formazione, goffo, timido, sincero, fragile nel suo cercare di sentirsi integrato in un mondo che pare escluderlo, Giusto è in realtà un’isola, se non uno scoglio (che, notoriamente, non può arginare il mare: Battisti/Mogol docet), alla deriva in un oceano con molti squali (i suoi colleghi d’ufficio) ed una sola Sirena (ai suoi occhi, mentre per tutti gli altri è una balena), Sofia Gigliola, la figlia cicciottella del suo potentissimo direttore, di cui è follemente e – ça va sans dire – segretamente innamorato. Tutto trascorre imperturbabile per anni, senza mai una promozione, uno scatto di carriera o, perlomeno, uno sguardo di Sofia, quando, come nelle migliori tradizioni, in una sola notte, nel corso di una orribile festa aziendale, ogni cosa muta, anzi prende voce e corpo, attirando il nostro protagonista in un turbine caleidoscopico di congiunture da cui parrebbe poter sortire solo vendendo l’anima al Diavolo come un novello Faust o mutando la sua natura dal mite Dottor Jekyll allo spietato Mister Hyde, fino a quando – forse – il canto di una sinuosa Sirena non lo ricondurrà alla sua vera primordiale natura per ricongiungersi alla propria umanità.

Al netto dei profumi e colori cechoviani che Lisma ha saputo donare al suo personaggio, non vi è dubbio che il primo parallelismo che viene in mente sia quello con il mitico Ugo Fantozzi, l’emblematico antieroe creato ed interpretato da Paolo Villaggio; ma se il ragioniere più famoso d’Italia incarnava l’uomo qualunque schiacciato dalle angherie di un sistema spietato, il nostro eroe è, sì, anch’egli un uomo qualunque, ma che decide, infine, per insopprimibile amore o per incontrollabili stati d’alterazione, di ribellarsi a quel sistema in un gesto rivoluzionario ed eversivo cui, però, non pare consegnare sino in fondo la propria coscienza, non abbandonando mai definitivamente la propria umanità; mentre Ugo resta vittima eterna per inedia ed apatia, Giusto viene attirato dalle lusinghe del suo personalissimo tentatore – Lucifero o Hyde che sia – e compie la sua trasformazione: se non si vede nessuna via d’uscita, se si è soli, se si è indifesi di fronte all’angheria che colpisce gli ultimi, allora la ribellione appare inevitabile, sia socialmente che – forse ancor più – singolarmente, salvo poi riuscire ancora a scegliere da che parte stare.
In questa ottica, “Giusto” non è solo la storia di un uomo, ma uno spaccato del nostro tempo, con cui l’autore sembra invitare ognuno di noi a ripensare al ruolo che ha assunto tanto nella propria vita quanto in quella degli altri esseri umani, ricordandoci il teorema di John Donne secondo cui “nessun uomo è un’isola”: lo si voglia o no, tutti influenzeremo, con il nostro modus vivendi, le maree delle ‘coste’ che visiteremo, conosceremo, condivideremo, ameremo, con tutte le potenziali ripercussioni che ogni scelta nasconde. In altre parole, Lisma, andando oltre il solito onanistico monologo, finisce per creare una collettiva seduta psicanalitica corredata da un’inventiva comica straordinaria che coinvolge e travolge il pubblico, spingendolo ad esaminarsi anche ironicamente nella sua nudità, ad inerpicarsi per un sentiero ripidissimo ed intriso di insidie che pare non avere alcuna destinazione, non intravedendosi all’orizzonte alcuna linea di confine, alcun traguardo, alcun(a) fine che non si materializzi nell’accettazione di sè. E tutto questo avviene – ed è davvero miracoloso – tra tante, ma davvero tante risate, con una preparazione della battuta che è certamente frutto di un magnifico lavoro di cesellata scrittura che richiama alla mente la migliore tradizione letteraria, quella magnificamente rappresentata, ad esempio, dalle opere create dal binomio Vincenzo Cerami e Roberto Benigni (sintomatico e da antologia in tal senso appare il fulminante paradosso sull’assegnazione dei nomi di battesimo, in particolare su quello della cugina del protagonista, che fa venire giù il teatro dalle risate e dagli applausi).

Su di una scena essenziale, fatta di luci ed ombre che rispecchiano le sfumature del personaggio, su cui troneggia il fantastico quanto suggestivo ed onirico universo delle illustrazioni di Gregorio Giannotta, sostituite sono nel finale da un estratto dal discorso di Wislawa Szymborska riportato in apertura d’articolo, Lisma dà vita a un’interpretazione eccezionale, ipnotica, comica ma anche malinconica, con momenti di vera poesia chapliniana che, senza soluzione di continuità, sfociano in situazioni surreali in pieno stile keatoniano. Pare che l’attore / autore si accolli l’ingrato compito di porre in essere l’estremo tentativo di salvarci dalle nostre stesse più recondite paure, vivendole e ridicolizzandole per noi, in un incessante corto circuito emotivo che non concede alcuna ipotesi di astrazione; non è solo l’artista che qui fa del suo corpo e della sua voce il perfetto strumento per descrivere le umani (com)passioni, lasciandosi attraversare se non abitare da loro, ma è l’Uomo, con le sue paure, i suoi mostri, le sue aspettative, “i suoi ricordi, le sue istantanee, i suoi tabù, le sue madonne”, avrebbe detto Rino Gaetano, che prova a ricomporre il puzzle della propria vita, ricavandone l’istantanea del citato isolotto alla deriva in alto mare che, pur incapace di scegliere tra calma piatta e tempesta, sembra comunque riuscire infine a trovare l’approdo. L’iniziale seduta psicanalitica, così, si fa sublime catarsi farsesca, illuminante rito iniziatico che ci insegna a ridere di noi stessi, percorso di rinascita e riscoperta, viaggio di superba poetica bellezza che è ardita discesa agli inferi dell’umana introspezione ma, anche e soprattutto, sublime quanto ilare risalita “a riveder le stelle”, verso quella salvezza che la mente forse non riesce sempre a concepire, ma che pur è presente in ogni anelito vitale.

Lisma, forte di una innegabile immensa personalità, ne esce vincente al pari di un audace equilibrista che cammina sulla corda tesa, senza rete, che pare sempre sul punto di cadere e di perdersi, ma che riesce a catturare i cuori di tutti gli astanti sino a farli salire con lui su quel filo, su quel trapezio, su quella giostra che non conosce sosta. Il suo modo di prendere per mano, imbrigliare, guidare il pubblico per farlo commuovere o scoppiare a ridere ha dell’incredibile, una potenza della natura davvero non comune nel panorama del nostro teatro. E non è solo astuta Arte attoriale, ma è pulsione e vibrazione, è riso ed emozione, è Poesia che ci appaga e ci fa sentire meno soli nel nostro infinito personale oceano, perchè, parafrasando Guccini, magari con i testi teatrali non si fan rivoluzioni, ma “si possa far poesia”, o, come conclude sempre la Szymborska, “nel linguaggio della poesia, in cui ogni parola ha un peso, non c’è nulla di ordinario e normale. Nessuna pietra e nessuna nuvola su di essa. Nessun giorno e nessuna notte che lo segue. E soprattutto nessuna esistenza di nessuno in questo mondo. A quanto pare i Poeti avranno sempre molto da fare”, e Rosario Lisma è certamente tra Questi.
Pasquale Attolico
Foto dalla pagina web dell’artista