“Se serve solo a te, non è femminismo”: Antonella Questa, Valentina Melis e Lisa Galantini dirette da Marta Dalla Via portano in scena al Teatro Carcano di Milano “Stai zitta!” tratto dal libro omonimo di Michela Murgia, un pretesto per raccontare la nostra società maschilista tra ironia agrodolce e surrealtà fin troppo reale

Ci sono intelligenze che lasciano il segno, che fanno la differenza, che ti mancano anche quando non le hai conosciute personalmente e, per questo, provi un sottile rimpianto per “non esserci stata quel giorno in quel bar”, direbbe mio padre.

Michela Murgia per me è una di loro. Avrei voluto incontrarla e perfino scontrarmi con lei perché quando sei un essere umano così consapevole del tuo spazio nel mondo, sei ingombrante, spesso ironica e tagliente fino alle lacrime, sicuramente urticante nel tuo essere medicina indispensabile per una sana crescita! Frequentare persone così dovrebbe essere prescritto dal medico come prevenzione alla stupidità! Ho letto molti dei suoi libri e ascoltato più volte i suoi interventi in rete e mi manca come un parente. Potevo perdere la rappresentazione teatrale di uno dei suoi libri cult? Domanda retorica.

Eccomi, dunque, pronta al mio posto per assistere allo spettacolo “Stai zitta!“, diretto da Marta Dalla Via e interpretato da Antonella Questa, Valentina Melis e Lisa Galantini, e, ammetto, mi aspetto molto da questa serata al Teatro Carcano di Milano che, per inciso, quest’anno (Stagione 2024/2025) ha una programmazione di prim’ordine.

Il foyer è pieno, pieno di donne di tutte le età, molte non accompagnate, ma allegramente in gruppo  come per uscire con un’amica e qualche uomo, a colpo d’occhio sensibilmente meno numerosi (solidarietà ai Panda coraggiosi, il cambiamento presuppone una consapevolezza condivisa!). Michela sarebbe stata sicuramente contenta di noi!

Si apre il sipario e capisco di essere ad una riunione di famiglia. Lo so a dire “riunione di famiglia” la prima cosa che viene in mente è noia, la seconda è “preferirei un attacco di lebbra, così non possono nemmeno venirmi a trovare!” No, non mi riferivo a “quelle” riunioni di famiglia. Ricordate invece quelle dell’infanzia? L’aspettativa e la gioia di rivedere i propri cugini il giorno di Natale? L’energia che si sentiva nascere dentro nell’attesa di quella che sapevi sarebbe stata una giornata piena di regali, divertente, appagante? E’ profondamente vero che l’Arte ha in sé la possibilità dell’Eternità, almeno misurata con i parametri umani.

Michela Murgia, aggiungo il cognome perché le parole sono pietre anche nel bene, è presente in sala e, sono certa, non sono l’unica a pensarlo. Lo dimostrano i ripetuti applausi a scena aperta, più che dovuto tributo alle attrici e alla regista, ma la standing ovation finale è certamente per lei.

Antonella Questa, Valentina Melis e Lisa Galantini non sono un trio lavorativo stabile, ma forse dopo questa esperienza potrebbero diventarlo. Il loro affiatamento e l’armonioso integrarsi e supportarsi imprimono ritmo agli sketch, uno più esilarante dell’altro. Certo non sfugge la sapiente regia di Marta Dalla Via come la scelta delle parti più affilate del libro. Antonella Questa racconta così la genesi dello spettacolo: “Con Valentina Melis stavamo già pensando ad uno spettacolo teatrale che avrei scritto e diretto per lei. Erano anni che io e Marta  Dalla Via ci “guardavamo da lontano”, espressione che racconta stima reciproca e desiderio di trovare un progetto comune sul quale lavorare”.

Il riso è agrodolce perché non è un racconto di fantascienza e nemmeno un poema epico di un passato lontano. Ogni scena, ogni battuta è benzina sul fuoco quando non alcool sulle ferite e, sono certa, nessuna donna in sala si è domandata: “Ma di cosa stanno parlando?”, “Queste cose succedevano nel Paleolitico. Forse una volta me ne ha parlato mia cuggggina”!

La pratica di chiamare per nome omettendo volutamente il  cognome in situazioni ufficiali o formali o – sia mai! – il titolo di studio; la fin troppo comune  classificazione “sorella di, madre di, moglie di” per sottolineare che il posto delle stesse è un passo indietro; l’uso della maternità, per fare rientrare nei ranghi chi ha osato eccellere valicando il limite e il ruolo assegnato dalla “Natura” e da “Dio”; il tono paternalistico, ironicamente definito dalle più educate mansplanning e da tutte le altre “minchiarimento” per cui, in una discussione, il maschio di turno ti spiega con condiscendenza la vita quando non gli argomenti che, magari, padroneggi anche meglio di lui essendo il tuo campo di studi e ricerca; e infine l’ evergreen  Stai zitta!: sono  tutti leitmotiv che accompagnano  la vita delle donne dai 3 anni alla tomba (e se si potesse sentirli anche dopo nei racconti dei nipoti!).

Sipario alzato e già siamo agli applausi finali. Il tempo è volato, purtroppo! Rappresentazione memorabile, a tratti irresistibile con quella giusta dose di rabbia e consapevolezza, speranza e amarezza proprie delle grandi Rivoluzioni ancora in cammino nonostante il tempo passato a lottare. Nulla è stato lasciato al caso e, se il canovaccio è chiaramente rivelato con la presenza del libro di Murgia in scena come attore coprotagonista con diritto di parola, l’agglutinante è certamente dato dalla musica o meglio  dalla scelta dei testi musicali come slogan dell’ovvio politico – cialtronesco e culturale  – nel quale siamo tutti allevati come ‘polli da allevamento’ (il Maestro Gaber docet), ognuno con il proprio ruolo e destino determinato fin dalla prima ecografia dove non ancora bebè si viene catalogati ufficialmente e spinti nella propria corsia di mondo muniti di etichetta indelebile “con o senza pisellino” – giuro che non è una favola della nonna! – dove il “senza” è una sentenza, non un’opzione alla pari.

I costumi di Martina Eschini non nascono dal desiderio di farci sapere quali sono i suoi colori preferiti. Anche attraverso la moda (stili e epoche diversi, stessi  problemi che sembrano non passare invece  mai di moda) si fa politica. Le sedute che ricordano le opere di Carla Tolomei ci rimandano al ruolo che spetta alle donne (cavoli e cavolfiori), mentre il fondale è un cielo nuvoloso, intenso come loro, a volte limpido a volte rosso fuoco, mai vuoto.

L’ironica e tagliente scelta di mettere in scena una riunione dell’“Anonima maschilisti” composta solo da donne, ci fa subito prendere coscienza che “la liberazione dalle dipendenze” parte dalla persona stessa, da noi e dalla nostra consapevolezza, dalla nostra volontà.

E, poi, la chicca della scelta dei nomi-maschere come una classica commedia greca. Non sono stati scelti a caso nemmeno se credessimo all’ingenuità dell’animo femminile. Vera – Lisa Galantini, “forse ma forse” una sociolinguista. Lucida impegnata, disposta a condividere le sue fragilità senza paura di giudizio, impasto di femminilità e anfibi a sottolineare che nulla si ottiene senza lotta e determinazione. I privilegi non li vedono solo quelli che li hanno in dotazione dalla nascita come l’ombrello per coloro che nascono nel Nord Italia! Nomen omen direbbe Plauto. Letizia – Antonella Questa, il cui nome è uno spettacolo come lei. Sarà un caso che sia una donna in perpetua campagna elettorale, illusa di giocare con un mazzo di carte non truccate? Quella che  “Vota Letizia, perché il femminismo è solo il paravento dietro al quale si nascondono quelle che preferiscono le scorciatoie al duro lavoro!” e ancora: “Se io ce l’ho fatta, si può fare e tu è solo che non hai le qualità”. Costruita fin dalla culla per essere un “maschio mancato”. Ridiamo, sorridiamo, riconosciamo i sottotitoli all’oggi e poi, folgorante, la certezza che stia parlando di ognuna di noi.  “Solo Letizia, sono una di voi” è il macho che è in tutte noi, il primo vero muro con cui confrontarci. Tutte noi, prima o poi, la rivediamo nello specchio al mattino e sappiamo che quel muro o lo si abbatte o lo si aggira o lo si affronta, ma non lo si potrà ignorare per sempre altrimenti resta lì a toglierci la luce del sole. “Se serve solo a te non è femminismo” (Michela Murgia). Infine, Martina – Valentina Melis. Dolce e deliziosa nel suo essere calata perfettamente (fino a prova contraria!) nel suo ruolo di moglie e madre, un uccellino insicuro in una gabbia dorata. Che tenerezza, che innocente spreco di talenti! Una vita intera allevata per ricoprire quel ruolo, eppure una crepa nel muro c’è. Da sola, in bagno, gli “occhiali rosa” prima o poi bisogna toglierli. E il dubbio che abbiano diviso la torta senza di te si insinua irrimediabilmente.

Gli applausi a scena aperta sembravano distribuiti come caramelle  ad Halloween. Una risata vi seppellirà leggevo sui muri della mia città durante l’infanzia. Una risata e la parola aggiungerei ora. La potenza della parola in una mente lucida è inarrestabile, affilata come una lama. Se, poi, chi la coltiva  ha anche il dono dell’ironia e, soprattutto, dell’autoironia quella donna  diventa un’atomica innescata. Per questo “Stai zitta!” è l’ultimo baluardo dell’impotenza del privilegio,  a cui si risponde in coro con una grande, fragorosa, assordante risata! Perché focalizzarsi sul linguaggio? Perché la parola è potere, modella la realtà, crea mondi. Me lo hanno ‘detto’ Vera Gheno, Chiara Valerio e Michela Murgia ma, a pensarci bene, un dubbio non razionalizzato era venuto anche a me dopo i 12 anni. E allora, se Stai zitta! è l’ultima spiaggia per rimettere a posto queste “pulzelle riottose seppur carine”, significa che l’oratoria è ciò che fa davvero paura e , a volte, avere un po’ di paura fa bene.

La strada per la vera parità, quella in cui non esiste più nemmeno il problema di porsi il problema è ancora molto lunga e i tentativi di rimettere al proprio posto “l’altra metà del cielo” partono da molto lontano. Probabilmente, lo stesso Adamo ha gioito pensando che i suoi dolci gemellini erano maschi e in cuor suo avrà fatto un sospiro di sollievo. Quindi consideriamo  i nostri momentanei arretramenti non  segnali di fuga, ma di rincorsa! Qualche malumore dagli spalti maschili? Solo dai più convinti maschilisti forse perché, dagli applausi che vedo partire da molti di loro, tra i più giovani soprattutto sembra serpeggiare il dubbio che  qualche squilibrio esista davvero e che sarebbe almeno il caso di indagare.

Ridiamo pure sugli stereotipi di genere e proviamo a credere  che anche  attraverso l’ironia si possa cambiare  il mondo, altrimenti siamo al punto di partenza e  aggiungiamo un semplice “divertenti” alle qualità “di ruolo”. E allora, ridiamo insieme e poi lavoriamo per accrescere la nostra consapevolezza e trasmetterla alle altre e, in un momento di ottimismo assoluto, agli “altri” che, per par condicio, sono “l’altra metà del cielo” (‘Se facciamo un po’ per uno, non fa male a nessuno’ diceva mia nonna).

Infine, come ci ricorda Michela Murgia e, con lei, Antonella Questa, Valentina Melis e Lisa Galantini, cambiare il nostro paradigma mentale “Yes, we can!”. Per trasformare il reale bisogna sporcarsi le mani, mettersi in gioco e, soprattutto, volerlo e, se tanto mi dà tanto, visto dal mio piccolo angolino, non ci regalerà nulla nessuno. Al lavoro dunque!

Manuela Composti

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