
Il cuore oltre l’ostacolo: il Bari pareggia a Catanzaro e riscopre il suo spirito
Non è stata la classica partita perfetta. Non quella idealizzata dai tattici, in cui si colpisce al momento giusto, si soffre con ordine, e si chiude ogni fonte di gioco avversaria con freddezza svizzera. Non lo è stata, né avrebbe potuto esserlo. Perché certe partite, borderline e fuori dagli schemi, capitano una tantum. E proprio per questo lasciano un segno.
A Catanzaro, il Bari ha evitato una sconfitta che sembrava scritta. Ha reagito con orgoglio dopo l’ennesimo primo tempo da “déjà vu”, figlio di una stagione in cui ogni vantaggio sembra preludio a una disfatta. In vantaggio iniziale, come già accaduto in nove precedenti occasioni, i biancorossi si sono fatti rimontare ancora, stavolta dai più titolati calabresi, proprio a ridosso dell’intervallo. Uno scenario già visto, già temuto. Molti tifosi, davanti a quel film ripetuto, avevano già accettato il verdetto: un’altra sconfitta, l’ennesima crisi, e un’ennesima settimana di processi e malumori.
E invece, nel secondo tempo, il Bari ha risposto. Ha alzato la testa, ha messo in campo qualcosa che sembrava perso: l’orgoglio. “La misura dell’uomo è ciò che fa con il potere che ha”, scriveva Platone. Il Bari, pur con limiti evidenti e un potenziale tecnico limitato, ha fatto quanto poteva con gli strumenti che aveva. E ha strappato un pareggio che non fa classifica, ma che pesa come un macigno sul piano morale.
Il 3-3 del “Ceravolo” è figlio di una reazione nervosa, emotiva, quasi anarchica, ma sincera. L’ultima parte del match è stata palpitante, un frammento di quel calcio che si gioca con la testa ma si vince col cuore. Gli schemi saltati, l’assalto finale, il gol di Favilli — entrato dalla panchina — hanno ridato al Bari la dignità che sembrava smarrita dopo Carrara. Ed è proprio qui che si misura la crescita, seppur minima: lì la squadra era sembrata svuotata, priva di attributi. Domenica, invece, ha mostrato qualcosa. Non tutto, ma abbastanza per lasciare accesa una fiammella.
E la domanda, inevitabile, sorge: perché Favilli gioca così poco? Ancora una volta è risultato decisivo lui che è l’unico vero attaccante di razza e non di movimento, ancora una volta ha dato peso, presenza e incisività al reparto offensivo. Un’incognita gestionale che Longo dovrà spiegare, anche in funzione delle prossime gare. Il tecnico, comunque, ha provato a cambiare qualcosa: fuori Mantovani e Simic, dentro Vicari e Pucino; centrocampo a cinque, con i titolarissimi a presidiare la zona nevralgica del campo. In avanti, spazio a Pereiro, preferito al “fantasma” Falletti, con Lasagna ancora titolare nonostante i pochi sorrisi recenti.
Lasagna, va detto, continua a essere un rebus: istintivo ma poco lucido, sprecone sotto porta, poco incisivo nei momenti chiave. Quando riflette trova soluzioni, quando agisce d’impulso sbaglia. Un attaccante dalla parabola discendente, passato dalla Serie A, un salto in Nazionale, alla Turchia dove vanno coloro i quali non trovano più spazio in Italia, ed oggi in B a rincorrere sé stesso. Eppure, in una squadra con poche armi offensive, anche i suoi gol — se e quando arrivano — fanno la differenza.
Tra i protagonisti assoluti della giornata c’è Favasuli. Un moto perpetuo, un esempio di dedizione e concretezza. Non ha mai mollato un pallone, ha coperto, ha spinto, ha cercato anche la via del gol. Il simbolo di un Bari combattivo, finalmente vivo. Sta crescendo gara dopo gara, garantendo equilibrio e presenza. Se c’è un’immagine che riassume il match, è quella del suo volto stanco ma fiero al triplice fischio.
Non tutto, però, è rose e fiori. Il Bari ha fallito tre occasioni nitide, e lo stesso ha fatto il Catanzaro. Maggiore ha perso tanti palloni, ben al di sotto dei suoi standard. Pereiro e Falletti restano impalpabili, quasi ectoplasmi in campo. Dorval, lontano dalla sua versione migliore, continua ad alternare luci e ombre. E la difesa, anche con i cambi, è apparsa tutt’altro che impenetrabile.
Eppure, e qui sta il dato più incoraggiante, la squadra non ha mollato. È rimasta viva, reattiva. Ha messo piede con convinzione nella metà campo avversaria, dimostrando che non è la quantità di trequartisti o attaccanti a fare la differenza, ma lo spirito. “Non è il numero degli uomini che decide la battaglia, ma il loro valore”, ammoniva Senofonte. E il Bari, almeno in questa occasione, ha avuto valore.
Il pareggio, oggettivamente, è il risultato più giusto. Ma quella traversa colpita dal Catanzaro nei minuti finali resta un brivido, un avvertimento. Bastava un nulla e oggi si parlerebbe di crisi irreversibile. È stato evitato il crollo psicologico, ed è già molto.
La classifica resta difficile. Il Bari è fuori dalla zona playoff, a due punti e due posizioni di distanza. E le prossime partite — a cominciare dalla sfida col Palermo — saranno ad altissimo coefficiente di difficoltà. Continuare a sbagliare non è più un’opzione. Serve una marcia diversa, serve lucidità, e soprattutto serve continuità. Perché il rischio di rivedere gli incubi di Terni è tutt’altro che remoto. E questa piazza, questi tifosi, non ne hanno più voglia.
Il mercato di gennaio, poi, non ha portato benefici. Doveva rafforzare, ha indebolito. Come lo scorso anno. Arrivi poco incisivi, impatto quasi nullo. Una gestione che lascia più dubbi che certezze.
Eppure, proprio in una serata complicata, il Bari ha ritrovato un pezzo di sé. Come scriveva Hemingway, “il mondo spezza tutti, e poi molti sono forti nei punti spezzati”. Il Bari è ancora fragile, ma ha mostrato crepe che potrebbero diventare forza.
Non sarà stato un partitone, ma è stato uno spiraglio. Un segnale. Una partita anomala, viva, fuori dagli schemi. E in certi momenti della stagione, questo può bastare per ricominciare.
Massimo Longo