
Cosa accade, nel corpo di chi scrive, quando scrive? Può la scrittura, in qualità di funzione vitale di alcuni esseri umani, influire sulle altre funzioni vitali? Chi scrive può prevedere cosa leggerà, chi legge, in ciò che scrive? In definitiva, chi scrive sa davvero, totalmente, ciò che sta scrivendo?
Questi interrogativi sono una specie di obiettivo intimo, nell’ultimo incontro della rassegna “Corpi nella Tempesta” a cura di Nicola Lagioia, che dopo aver dialogato sul palco del Teatro Kismet di Bari con Vittorio Lingiardi, Francesca Mannocchi e Domenico Starnone, conclude con Donatella Di Pietrantonio, romanziera abruzzese, il cui lavoro più celebre è “L’Arminuta”, da cui sono stati tratti una pièce teatrale e un lungometraggio, premiato proprio per la sceneggiatura, a firma della stessa Di Pietrantonio assieme a Monica Zapelli.
L’anno scorso Di Pietrantonio ha inoltre conseguito il Premio Strega Giovani, e infine lo Strega, nel 2024, con “L’età fragile”.
Come spesso accaduto nel corso di queste sere, il racconto parte dall’attimo in cui l’autrice o l’autore ha ricevuto il dono della scrittura, talora pescando nel profondo del vissuto personale. Nel caso di Di Pietrantonio, il racconto dell’infanzia nell’Abruzzo rurale, le variabili della personalità che hanno declinato tali vicende in quella che è stata dapprima una predisposizione, poi una passione, e infine un mestiere.
Le atmosfere boscose, brumali, della sua terra natia vivono nel suo racconto, non mancano momenti ilari, anche il passaggio a L’Aquila, dove ha compiuto gli studi universitari, è figlio di una scultura a sbalzo dello spaccato di un’epoca, così come il terremoto, e tutte le ansie che ne sono conseguite, avvenuto mentre scriveva “Mia Madre è un fiume”, e raccontato in “Bella mia”.
Qui accade l’inaspettato, il vero senso che distacca gli incontri al Kismet da semplici dialoghi su canovacci a elenchi puntati. Per ammissione della stessa Di Pietrantonio, Lagioia riesce ad avere un effetto maieutico sulla conversazione, disvelando alla scrittrice significati dei propri vissuti, dei propri scritti, e degli effetti degli scritti su chi legge, che anche alla stessa scrittrice risultano inediti e inesplorati.
Questa cosa mi ha ricordato cosa dice Noel Gallagher degli Oasis a proposito dei suoi testi, una considerazione che potrebbe estendersi a una parte rilevante del nero su bianco, che sia musicato, declamato in prosa o letto nell’intimità del rapporto col libro: pur schermendosi dicendo di sé di non essere il più grande paroliere di tutti i tempi, ammette che c’è una buona quota di indefinito nei suoi testi, e che è in quell’indefinito che nasce l’amore dei fan, che vi leggono significati personali e universali.
E, visto il successo della rassegna, degli scritti di chi l’ha condotta e di quelli degli ospiti, c’è da scommettere che i significati personali e universali sono proprio ciò che chiediamo, quando leggiamo.
Beatrice Zippo