Un ottimo omaggio ad Agatha Christie senza mettere in scena Agatha Christie: “Omicidio nel West End” (“See how they run”), il nuovo piacevolissimo film di Tom George

Agatha Christie ha scritto una notissima commedia gialla (come il colore dei libri polizieschi che venivano pubblicati dalla Mondadori) di enorme fortuna, che è stata replicata per ben 68 anni, essendo in scena dal 1952 al 2020.
Si tratta di “Trappola per topi (The mousetrap)“, una pièce talmente apprezzata che in più occasioni poteva diventare in film, ma nessun progetto è giunto a destinazione, in quanto ritenuta troppo complessa o troppo teatrale.

Dunque, anche questo “Omicidio nel West End (titolo originale “See how they run” e, per una volta, meglio in italiano, anche se l’originale strizza l’occhio al titolo della commedia) non è la trasposizione dell’opera teatrale, bensì trae origine dai caratteri dei personaggi della commedia della Christie e abbozza la storia, parafrasandola.

Perché in ogni poliziesco non succede mai niente di nuovo e, come tutti sanno, è sempre il personaggio più sgradevole quello che verrà ucciso. L’incipit della pellicola assomiglia alla più tipica delle narrazioni cinematografiche con una voce narrante che ci spiega l’incredibile difficoltà di far diventare film un’opera teatrale senza che, nei primi minuti, ci sia un qualche assassinio.
Presto lo sceneggiatore della pellicola rimedia all’incredibile – per i canoni hollywoodiani dell’epoca e anche attuali – errore di programmazione e ci serve l’omicidio in maniera semplice e diretta. Saranno i flash back a chiarire lo spettro degli indagati che, come in ogni romanzo poliziesco – si potrebbe dire – ‘all’inglese’ o comunque secondo lo stile della Christie, alla fine saranno tutti radunati in un’unica stanza (la finta casa dell’autrice ricostruita sul palcoscenico) in una nottata di neve.

L’intreccio si dipana secondo i canoni tradizionali del genere, non tanto per tenere incollato lo spettatore sulla sedia, affascinato ed impaurito dalla suspence o dalla paura del colpo di scena improvviso, quanto per affascinarlo e teneramente condurlo nelle verdi colline del divertimento, senza pensieri ma non stupido.
I personaggi sono disegnati per gli attori e interpretati da attori in carne ed ossa, non computerizzati e non inutilmente accondiscendenti. Non ci sono le grandi star che affollano altre recenti produzioni, più simili ad una parata di nomi altisonanti, con scenografie eccelse e svolgimento talvolta mediocre, che a veri film pensati per essere interpretati. In questo film la recitazione è per lo più curata e, salvo qualche leggera sbavatura, ci lascia sempre affascinati e piacevolmente intrigati.

Il regista Tom George ricrea un’atmosfera anni Cinquanta, con richiami, però, anche ai decenni precedenti, grazie ad una colonna sonora vicina allo swing degli anni 30 e 40 del secolo scorso. Daniel Pemberton, autore delle musiche, realizza una serie di brani molto tradizionali ma assolutamente piacevoli, come il tema principale del film, “A lavish affair”.

Elencare tutti gli attori sarebbe troppo lungo e, come detto, andrebbero citati tutti perché sono tutti bravi. Spicca, però, l’interpretazione di Saoirse Roman (l’agente Stalker, che in italiano, guarda caso, significa “molestatrice”), una poliziotta fresca di nomina, più zelante e chiacchierona che prudente, la classica prima della classe con il difetto di saltare subito alle conclusioni, con la bravissima Enrica Necci nel non facile doppiaggio (vi consiglio di ascoltare il trailer in inglese e poi in italiano); sull’argomento, va segnalato che i traduttori, ma non per loro colpa, non riescono a duplicare i giochi di parole che nel testo originale hanno, ovviamente, più senso. Un ottimo Andrew Brody (Leo Köpernick) nella parte della vittima, con il giusto livello di sgradevolezza, come si acconcia a chi dovrà essere ucciso. Un bravo ed impeccabile David Oyelowo (il commediografo Mervyn Cocker-Norris), eccentrico ed elegante.
State attenti ad un piccolo esilarante regalo in una delle scene finali, con l’inversione del più classico dei cliché della giallistica.

Insomma, in tempi di crisi come i nostri, novanta minuti circa di divertimento intelligente e senza pensieri. E non è poco.
Andate a vederlo al cinema.

Marco Preverin

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