Il “Caso Braibanti” e noi: l’immanenza illuminante de “Il Signore delle formiche”, il nuovo film di Gianni Amelio con Luigi Lo Cascio, Elio Germano e Leonardo Maltese

Per non essere solo in questa notte di luna
Che il ferro delle sbarre è giunco forte e lento
E che l’ombra di un’ombra mi aspetta nel cortile
E il muro – uno scarso avanzo di cielo
La porta spalancata solo verso la morte
E il vicino che dorme oltre la parete sottile
E sogna sempre la stessa cosa : presso un’imposta chiusa
Una tenera forma piega e si consuma.
– Per non essere solo io canto.

Quello che non posso toccare.
(Aldo Braibanti)

L’uomo delle formiche è un film che prima di tutto è una storia d’amore, una storia d’amore tra due persone delicate (qualcuno l’ha definito).
Siamo negli anni ’60, Aldo Braibanti (nel film un perfetto Luigi Lo Cascio) nasce nel piacentino il 17 settembre del ’22, nella bassa padana, figlio di un medico condotto. Ed è proprio accompagnando il padre nelle campagne durante le visite ai pazienti che nasce la passione per le formiche. E’ stato filosofo, scrittore, poeta, artista, intellettuale, drammaturgo, mirmecologo (studioso delle formiche), anima poliedrica, personaggio un po’ misantropo, a volte irascibile e omosessuale dichiarato.
Ettore (un eccezionale Leonardo Maltese) studente di medicina, ventiduenne, figlio di una famiglia più che cattolica, di stampo fascista che ostacola fortemente la sua omosessualità. Amante dell’arte con la passione per il disegno, per la pittura.

Come dichiara il regista Gianni Amelio, il caso Braibanti non è un pretesto ma è un’occasione per riflettere. Braibanti in quegli anni utilizza un vecchio torrione abbandonato che trasforma in un circolo culturale, un centro sperimentale dove i ragazzi che lo frequentano sono guidati ad un approccio avanguardista verso tutti i linguaggi dell’arte. Ed è proprio in questa circostanza che Aldo ed Ettore si incontrano e nasce una relazione amorosa.
Ebbene, mettiamo in luce un aspetto fondamentale: la relazione tra Aldo ed Ettore finisce in tribunale per reato di plagio. Noi italiani non eravamo nell’Inghilterra di Wilde. Eravamo chiusi in un conformismo deprimente di tipo clericale. In Italia non era contemplato il reato di omosessualità, perché sarebbe stato riconoscere una ‘falla’ nella razza umana (echi dell’ideologia fascista).
Aldo veniva accusato di aver plagiato Ettore fisicamente e psicologicamente e per questo fu condannato (in prima istanza) a 14 anni di reclusione, uno in meno dell’omicidio. Ettore, secondo il pubblico ministero, era il ragazzo corrotto e soggiogato. Ma era chiaro che l’accusa sotterranea era l’omosessualità e non il plagio. A tutt’oggi rimane il primo caso di plagio in Europa, riferito ad un caso umano, finito in tribunale.

Un amore omosessuale non aveva il diritto di emergere. Braibanti non ha il potere di un partito politico a difenderlo. Lui, referente del partito comunista in gioventù, decide di uscirne, perché non ci si sentiva a suo agio. Decide che la sua sarà una politica culturale che si nutre d’arte e di filosofia. Politicamente non schierato, era un intellettuale debole, bersaglio di chi voleva fermare il rinnovamento, anche artistico-culturale di questo ‘accademico del nulla’ come si autodefiniva.
Aldo aveva la visione massimalista della società, lui non pensava che i costumi potessero evolversi, che la giustizia si potesse riformare, ecco perché ammirava la perfetta organizzazione del microcosmo delle formiche: la loro è una società verticale, non c’è sopraffazione ma leale cooperazione.

Il reato di plagio contemplato nel Codice penale Rocco fu poi cancellato grazie ai militanti del Partito Radicale (Marco Pannella in testa), omaggiati dal regista dalla rapidissima apparizione di Emma Bonino sullo schermo, che furono i primi a dare risalto al processo. Questa era un’accusa contro i ‘diversi’, i ‘fuori dalla legge’, i ‘contro la norma’. Del caso in realtà si occupò anche “L’Unità”, il giornale del Partito Comunista, ma con alterne prese di posizione, come Amelio sembra voler denunciare tramite la figura del giornalista Scribani (personaggio di fantasia, magnificamente impersonato da Elio Germano) che, al termine, viene licenziato, perché ne scrive con passione e dovizia d’inchiesta e, secondo la Direzione del giornale, non avrebbe dovuto.

Il processo prese una forma rocambolesca dai toni surreali densi di arroganza e intolleranza, contrapposti alla compostezza dignitosa di Braibanti, al quale toccò la gogna mediatica e la detenzione, mentre Ettore fu sottoposto a quaranta elettroshock e a due coma insulinici, a seguito della decisione della madre che lo rinchiude in un ospedale psichiatrico ove rimase per più di un anno, perché sosteneva che il figlio andava curato da questa influenza ‘demoniaca’, dal demonio assetato di anime, dall’anticristo (il traviato prof. Braibanti).

L’Italia di quegli anni era il Paese del socialismo, della lotta operaia, dei diritti civili, delle minoranze che cercavano di opporsi al bigottismo e alla ideologia retriva e medievale di alcuni aspetti distintamente fascisti. Come poteva una relazione di due soggetti ‘invertiti’ avere una identità socialmente riconosciuta?

Nemmeno la difesa infuocata di intellettuali quali Eco, Maraini, Moravia, e neanche la lettera aperta su Paese Sera di Elsa Morante rivolta ai giudici svoltò la sorte di questo imbarazzante, grottesco processo. La scrittrice invitava i nostri connazionali a recarsi nei tribunali del territorio italiano per conoscere quanti ‘vietnam’ avessero bisogno d’essere liberati (erano gli anni della guerra in Vietman).
E neanche la solidarietà di Pasolini smosse l’accusa dalla riprovevole sentenza. Egli scrisse a favore di Braibanti che “Se c’è un uomo ‘mite’ nel senso più puro del termine, questo è Braibanti: egli non si è appoggiato infatti mai a niente e a nessuno; non ha chiesto o preteso mai nulla. Qual è dunque il delitto che egli ha commesso per essere condannato attraverso l’accusa, pretestuale, di plagio? Il suo delitto è stato la sua debolezza. Ma questa debolezza lui se l’è scelta e voluta, rifiutando qualsiasi forma d’autorità: autorità che, come autore, in qualche modo, gli sarebbe pervenuta naturalmente, solo che egli avesse accettato anche in misura minima una qualsiasi idea comune di intellettuale: o quella comunista o quella borghese o quella cattolica o quella, semplicemente, letteraria. Invece egli si è rifiutato d’identificarsi con qualsiasi di queste figure – infine – buffonesche.”

Era una vera e propria caccia alle streghe.
C’era un malato, c’era un dottore, c’era un untore.
Un processo che pareva una sceneggiata contro due ‘deviati’ che invece contrastavano, con naturale sobrietà, l’insensata ingiustizia.
Quello che interessava a Braibanti, con le sue rare risposte, era aprire il dubbio nelle menti di una società che agiva per ‘necessità storica’ pronta a nascondere la propria essenza.
Ed allora il Braibanti, lui di ottima capacità linguistica, sceglie la strada del silenzio.
Fuori dal tribunale non c’erano fitte manifestazioni di difesa, ma un minuto gruppetto di studenti, capofila Graziella (nel film Sara Serraiocco), cugina del giornalista, che chiedeva l’abolizione del reato di plagio. Aldo alla fine del processo rasentava i muri ed evitava di parlare di quest’esperienza devastante, rifiutando di esserne associato. Non ha mai cavalcato l’onda della notorietà (se pur negativa) per un tornaconto personale che potesse, per esempio, giovarlo nella sua professione.
Ed anche Ettore non ritrovò più la sua vita e una volta fuori dal manicomio, la famiglia lo rinchiuse in casa. Non poteva avere frequentazioni del passato, non poteva uscire di sera, gestire denaro e non poteva leggere libri a meno che avessero cent’anni.

Ci sono delle frasi ed un breve dialogo nel film che mi hanno lasciato una forte impronta e le riporto di seguito: è la loro significatività ad essere preponderante, per cui tutti dovremmo fermarci e pensare.

Ennio (il giornalista)- Questo processo è davvero lo specchio del nostro Paese , è l’aspetto più retrivo, più meschino, più criminale. E’ per quello che devi combattere (rif. ad Aldo)

Mamma di Ettore – Ho avuto un solo pensiero curarlo. L’ho portato da tanti specialisti, perché gli togliessero quel demonio dalla testa.

Ettore – Il processo è assurdo perché non c’è nessun colpevole, perché non c’è nessuna colpa.

Aldo- Non voglio essere un martire, né mostro, né martire.
Giudice – Qual era la natura del rapporto tra lei e Ettore?
Aldo – A cosa si riferisce?
Giudice – Lei mi ha capito non mi faccia essere crudo.
Aldo – Tra me ed Ettore ci sono stati rapporti sessuali rari, in nessun caso ho fatto opera di persuasione su di lui. Si è sempre trattato di un’emozione comune.
Giudice – Lei mente, tutte le testimonianze sono contro le sue affermazioni.
Aldo – Testimonianze evidentemente estorte.
Giudice – Testimonianze di gente per bene.
Aldo – Non so che cosa lei intende per gente per bene. Anche la mia parola ha un valore, ma a quanto pare in quest’aula non viene riconosciuta.
Giudice – Si rende conto di stare offendendo la Corte?
Aldo – Non lo so, non so niente delle vostre procedure, so solo una cosa: Socrate il più sapiente degli ateniesi accettò la sua condanna perché riteneva che le leggi vadano sempre rispettate in ogni caso. IO NO, io so che le vostre leggi sono ingiuste. IO NON HO PAURA. Se durante questo processo mi è capitato di voltarmi da un’altra parte è stato per non vedervi in faccia. E voi non puntatemi gli occhi addosso. Chi combatte contro i mostri deve stare attento a non diventare un mostro anche lui. E se guardi l’abisso troppo a lungo, anche l’abisso guarderà dentro di te.

Cosa mi resta di tutta questa storia?
Come sono andata via da quello schermo?
Penso che la verità di questo film sia di un’immanenza illuminante!
Che i dormienti della ‘buona educazione’ debbano disallinearsi una volta per tutte.
Che i dissidenti sono gli eroi delle conquiste, che gli angeli caduti non sono mostri ma neanche santi.
Che non c’è orientamento sessuale da curare, perché quando si ama non c’è malattia.
Perché quello che conta è essere se stessi.
Perché è il punto di rottura che sfianca la morale comune.
E la morale è l’infausta certezza delle menti stantie.
Che le inquisizioni tagliano le corde alla voce.
Che il diverso non esiste.
E che siamo in tanti ed ognuno ha legittimità all’esistenza.
Che non esiste devianza nell’amore, perché l’amore è uno.
Perché a distruggere l’amore sono i demoni dell’affabulazione traditrice, e non altro.
Che una società di diritti non costruisce MAI reati impossibili!
Che sono gli eretici a dirci come stanno le cose.
Che Ettore era un giovane ragazzo maggiorenne, consenziente ed innamorato.
Che la forza della repressione non basta ad annientare l’amore.
Che questo è un film d’amore e d’anarchia (a voler usare il titolo di un film della Wertmuller).
Che questo film è una naturale storia d’amore che di innaturale ha l’innegabile inarrendevolezza del sesso etero superdotato!
E ancora …

Ahimè, quanti Tàntalo gettati nel Tartaro, puniti dagli dei e, quanti tristi Sisifo sulla cima a ricadere all’indietro. Tutti rinchiusi nell’Ade. Ma noi restiamo fiduciosi dalla parte di Prometeo, a difendere il suo fuoco dalla notte scura. Perché nella notte s’aggirano fiere predatrici e furenti, incubo degli uomini per bene che hanno il viso aperto dal freddo e le mani screpolate dall’indifferenza.

Antonella Vairano

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1 commento su “Il “Caso Braibanti” e noi: l’immanenza illuminante de “Il Signore delle formiche”, il nuovo film di Gianni Amelio con Luigi Lo Cascio, Elio Germano e Leonardo Maltese

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