Esistono due format principali delle commedie americane, tipicamente hollywoodiane, con il marchio doc della cinematografia made in USA. Sono le commedie in cui due personaggi si amano, si affrontano, si detestano e si amano di nuovo.
La screwball comedy e la romantic comedy non sono però generi inventati nelle assolate terre californiane, ma qui sono state rielaborate dagli autori e sceneggiatori, creandone, di fatto, un genere autoctono che fa il paio con il cabernet californiano. I canoni, nell’uno e nell’altro genere, sono chiari e non ci si può discostare da loro. Nella screwball comedy, l’elemento centrale sono le vicende legate all’incontro/scontro fra personaggi inizialmente antagonisti, che poi finiscono per innamorarsi, dopo essere passati attraverso una serie di eventi spesso bizzarri e paradossali. È caratterizzata da dialoghi dal ritmo incalzante e dall’umorismo raffinato, sempre garbato e allusivo e mai esplicito o inelegante; un capolavoro che vi consiglio in tal senso, se vi va di vederlo e se lo trovate, è “Accadde una notte” del 1934 con Claudette Colbert e Clark Gable. Lo sviluppo naturale della screwball comedy è stata la commedia romantica degli anni 90, in cui i due sono ex coniugi separati, ma poi si rendono conto che sono “perfetti” l’uno per l’altro, o che sono ancora innamorati. Poi, tra attriti ed imbarazzi, dichiarano il proprio amore l’una per l’altro e il film finisce felicemente.
In questo “Ticket to Paradise” (mi perdonerete l’assiduità fastidiosa, ma mi chiedo: per una volta che si poteva tradurre il titolo senza stravolgerlo, perché si è mantenuto quello in inglese?) i canoni sono rispettati alla lettera. Il regista Ol Parker, senza particolare fantasia, ripropone lo schema tipo di “Mamma Mia Ci Risiamo” (da lui diretto) fondato sul talento degli attori principali, sulle location, sui dialoghi brillanti con battute fulminee.
Una coppia scoppiata decide di ostacolare ad ogni costo il matrimonio della figlia, destinata al più grande studio di avvocati di Chicago, ma miseramente, a loro giudizio, naufragata sulla bellissima isola di Bali con un fascinoso (poteva essere di meno?) ma non spiantato coltivatore di alghe. Le situazioni e gli incontri non faranno altro che cementare fra i due ex coniugi la complicità per raggiungere il loro spietato proposito, fino all’esito tanto scontato che si capisce già dai titoli di testa.
Non importa: ironia a gogò, situazioni divertenti e personaggi che si alternano sulla scena in siparietti e scene per lo più scoppiettanti; c’è tutto, fino a quando la storia vira decisamente verso la sdolcinatura e la parte romantica, si direbbe da telefilm per famiglie, conducendoci all’esito previsto, incredibilmente simile ai tutti i film di questo genere. Un finale così sciropposo da sconsigliare agli ammalati di diabete.
George Clooney e Julia Roberts sono una coppia che sprizza scintille di armonia scenica fin dalle prime battute. L’intesa fra i due è perfetta nella maggior parte del film e anche quando la storia si infiacchisce, riescono a mantenere attaccato il respiratore artificiale alla trama prima di felicemente e incongruamente morire (filmicamente) con essa. Naturalmente senza mai dimenticare i loro fantastici doppiatori, Francesco Pannofino e Cristina Boraschi, senza le cui voci nulla sarebbe possibile. Paragonare gli altri attori ai due, intorno ai quali è costruita l’intera sceneggiatura, è impossibile. Si muovono come comparse sempre lievemente a disagio e anche senza brillare (li avranno scelti apposta?). Kaitlyn Dever e Maxime Bouttier, rispettivamente l’amata figlia ed il promesso sposo, ci provano con tutte le loro forze, ma il confronto è oggettivamente impari.
Solo Lucas Bravo nella parte di un bello, non troppo sveglio, e imbranatissimo pilota di linea, sia pure in un ruolo marginale, creato per dare un minimo di alternativa al gioco di coppia che poteva risultare eccessivo e quindi noioso, si ritaglia uno spazio suo piuttosto riuscito.
Fotografia e scene acconce per fare da cornice alla storia che un po’ assomiglia a vari “Matrimonio a …” con gli ‘amati’ Boldi, De Sica & company. Colonna sonora retrò con, nostalgicamente, i Mamas and Papas in Go Where You Wanna Go del 1965 e dintorni, oppure il gruppo C+C Music Factory con Gonna Make You Sweat (everybody dance now), pura dance anni 90.
Piacevole e divertente, trovate il film nei cinema.
Mario Preverin