“Fin dove saremmo disposti a spingerci per tutelare il nostro onore?“
Tutto nasce da un equivoco e da una sonora sbronza.
Un uomo si sveglia nel suo letto, ma non ricorda come ci è arrivato, e per di più scopre che nel letto con lui c’è uno sconosciuto!
Assetati, con abiti stazzonati e scarpe infangate, tasche piene di noccioli di frutta e mani sporche di carbone, i due cercano di ricostruire la nottata appena trascorsa. Convengono di essersi incontrati ad una serata di ex allievi del liceo Labadens, ma non riescono ad andare oltre il momento in cui hanno lasciato la festa.
Lenglumé, che al liceo era conosciuto come “il somaro”, è un uomo ricco ed elegante che negli anni ha conquistato una solida posizione sociale ed economica. Uscito di casa di nascosto dalla moglie Norine per partecipare alla festa, ora non ricorda nemmeno come sia riuscito a farvi ritorno e quindi si destreggia tra il nascondere la sortita notturna, giustificare la presenza dell’ex compagno nella sua dimora, capire cosa è successo e nascondere eventuali misfatti compiuti tra i fumi dell’ alcool.
Mistingue, rozzo e volgare, è lo sconosciuto che si risveglia nel letto di Lenglumé. Anche lui allievo del Labadens, era il primo della classe. Famoso per aver vinto un premio in rime latine, è oggi un semplice cuoco.
Dalla lettura di un giornale portato dal maggiordomo Justin, e a causa di un piccolo (piccolo?) equivoco, i due apprendono che nella notte è stata uccisa una giovane carbonaia in Rue de la Lourcine. Una serie di indizi e di coincidenze li convincono di essere proprio loro gli autori del delitto. L’arrivo del cugino Potard, che offrirà loro un esile alibi (per poi usarlo a suo vantaggio), rafforzerà questa convinzione. Da qui una serie di fraintendimenti e situazioni di grande comicità.
Sono davvero loro i colpevoli? E soprattutto, c’è stato davvero un omicidio?
I due ne sono fermamente convinti e sono disposti a tutto pur di nasconderlo, pronti anche ad uccidere chi potrebbe rivelarne la colpevolezza. Delitto chiama delitto: la situazione iniziale si complica e si fa via via più oscura. Come nel Macbeth di Shakespeare, nonostante si lavino ripetutamente le mani, i due non riescono a far sparire il nero del carbone che le sporca, proprio come il sangue di Re Duncan sporca quelle dell’ospite traditore e assassino.
La scrittura e l’andamento della storia fanno sì che non ci si preoccupi troppo (anzi, affatto) della povera carbonaia. Piuttosto si parla di tensioni familiari, del complesso rapporto tra marito e moglie e tra le diverse classi sociali. Si esplorano sentimenti quali gelosia, sospetto, conflitto tra l’essere e l’apparire. È una commedia degli equivoci, la narrazione di una situazione paradossale brillantemente costruita da Eugène Marin Labiche che, attraverso intrecci vorticosi, scrive un atto unico in cui commedia e tragedia si intersecano, anche se poi tutto si risolve secondo lo schema del vaudeville, dove il bene trionfa e la matassa ingarbugliata alla fine si dipana.
In scena al Teatro Vallisa di Bari dal 10 novembre fino al 9 dicembre nell’ambito del progetto di “Teatro Studio”, con “Il caso di Via Lourcine” la Compagnia Diaghilev ancora una volta si dimostra affiatatissima e capace di una sinergia che permette alla pièce di scorrere fluida in un susseguirsi di eventi e situazioni paradossali. Una commedia-farsa che ha più di 150 anni (è del 1857) e si rivela ancora attuale e coinvolgente.
Su tutti domina l’energia e la poderosa presenza scenica di Paolo Panaro (suoi anche l’adattamento e la regia) nel ruolo di Lenglumé, che recita con ogni muscolo del corpo e del viso, protagonista indiscusso ma non prevaricante, anche lui a servizio del testo e dei compagni di palcoscenico. Al suo fianco, Alessandro Epifani rende il suo Mistingue a tratti sgradevole (come nella scena del pranzo) e surreale, mentre Altea Chionna disegna una Norine frivola e sognante ma mai banale (accattivante nei brani cantati dal vivo). Francesco Lamacchia (il maggiordomo) e Mario Lasorella (il cugino Potard) completano il cast dando carattere a personaggi minori ancorché ben disegnati e interpretati.
Un’ottima amalgama, un lavoro di squadra in cui tutti trovano e sostengono brillantemente il loro ruolo, piccolo o grande che sia. Si aggiunga poi un plauso ai costumi di Francesco Ceo. In qualche momento la recitazione è un po’ sopra le righe, ma riteniamo sia una scelta assolutamente in linea con il contesto e la storia, utile e necessaria nell‘andamento straniante e comicamente assurdo. Un ritmo serratissimo, l’incalzare continuo di gesti e parole senza pause o rallentamenti.
L’estrema prossimità del pubblico nel contesto della Vallisa rappresenta una bella sfida per gli attori, in quanto ogni eventuale esitazione o sbavatura è immediatamente percepibile. Di contro, ciò rende l’esperienza per gli spettatori particolarmente coinvolgente.
Uno spettacolo molto divertente in cui si sorride, anzi si ride di gusto, ma anche si riflette.
Una scrittura lieve in cui la risata talvolta si fa amara nella considerazione delle miserie dell’animo umano.
Imma Covino
Foto dalla pagina Facebook della Compagnia
Sicuramente una bella commedia, con attori bravissimi, ma il mio ” applauso” va alla bravissima 👏👏👏 nonché bellissima Altea Chionna. 🥰🥰🥰💓💓💓😘😘😘