Quando è iniziato il film, sono apparse le prime scene e l’incipit della storia, il primo pensiero è andato alla storia principe di Agatha Christie, vale a dire “Dieci piccoli indiani” e la sua claustrofobica, anche se non racchiusa in una stanza ma in un’isola, storia che fotografa alcune persone confinate in uno spazio delimitato dal quale non possono fuggire.
Allo stesso tempo mi sono venuti in mente sia “Harry, ti presento Sally” che “Masterchef“.
Vi chiederete quale arzigogolato collegamento ci possa essere fra due realtà così diverse. Mi spiego.
In “Harry, ti presento Sally“, l’amico Jess scrive “i ristoranti per gli anni Ottanta sono ciò che il teatro era per gli anni Sessanta”, frase citata al primo incontro da quella che diventerà sua moglie, la splendida Carrie Fisher che, nei nostri cuori, resterà per sempre la Principessa Leila Organa di Star Wars.
“Masterchef“, e tutta la cultura esasperata del cibo che contorna quella trasmissione (con annessa crudeltà gratuita e disprezzo nei confronti degli aspiranti chef), è l’evoluzione di quel clima intellettuale che, nato negli anni 80 o poco prima, oggi genera piatti che sono micro-porzioni non da mangiare ma da guardare o da “gustare” in punta di forchetta.
Ragionarci su e infine discettare sulla coerenza degli accoppiamenti gastronomici, o della cultura dello chef o chissà di che altro per far vedere che si è bravi, è ormai quasi un obbligo.
Il regista Mark Mylod coglie tutti gli spunti che la moderna cultura del cibo estremo somministra e li traduce in un menù, via via sempre più esageratamente raffinato ed etereo. Con maestria disegna la vicenda, coinvolgendo tutti gli attori come ingredienti dei piatti che verranno serviti ai commensali – ed a noi – da uno chef incredibilmente bravo, ma tanto immerso nella sua arte da voler diventare egli stesso creatore e parte del menu e della cena.
Se poi i piatti serviti nel film (spero gli attori li abbiano veramente assaggiati) sono creati da una grande chef, Dominique Crenn (tre stelle), un’artista che definisce i suoi piatti “poetica culinaria” e ha abolito la carne dal suo menu, le nostre pupille, non certo le papille gustative, sono colme di immagini di cucina molecolare coloratissima.
La ricerca della bellezza e del piacere culinario perfetto, impossibile da raggiungere, ma disperatamente anelato, obbligano ad un percorso lastricato d’inflessibile disciplina e di crudeltà. Tutto deve essere piegato o sacrificato alla riuscita del piatto, elemento non solitario ma necessariamente coordinato con tutto l’ambiente e gli avvenimenti che accadono intorno ai tavoli.
L’effetto della combinazione degli ingredienti, sempre spiegati con grottesca quanto elegante satira, alla fine conduce, com’è ovvio, alla genialità mischiata alla pazzia.
Il conduttore e chef è magistralmente interpretato da Ralph Fiennes, coinvolgente, con una mimica facciale sempre coerente con la situazione e, insieme a lui, il perennemente ottimo Stefano Benassi, il quale aveva il non facile compito di far vivere in italiano la recitazione di un mostro sacro. Non sfigura, anzi combatte strenuamente, Anna Taylor-Joy, attenta, precisa anche in alcuni primi piani non facili.; ed è perfetta Margherita De Risi che rende la voce della Taylor-Joy più scorrevole rispetto all’originale, senza i salti che, talvolta, si accompagnano all’inglese. Giocherellone e non sempre adeguato Nicholas Hoult, che, presentato come una delle colonne del racconto, viene via via declassato a caratterista, per alcuni versi abbastanza improbabile. Bravi tutti gli altri che contribuiscono, in maniera non superficiale, a rendere il tutto più sarcastico, rappresentando le diverse tipologie di ospiti dalla coscienza sporca. Tra tutti spiccano Judith Light, nel ruolo di una critica gastronomica molto compresa in sé stessa, ed il suo compagno Paul Adelstein, editore assertivo della grande giornalista.
Le musiche di Colin Stetson accompagnano le scene sottolineando i passaggi in maniera coerente e nell’insieme piacevole.
Un solo grande, gravissimo errore: i vini sono solo francesi e questo proprio non va giù.
Se andate a vedere questo film e vi piace siete piuttosto matti, ma se non ci andate lo siete di più.
Cercatelo nei cinema.
Marco Preverin